In una lunga e sbrodolosa intervista sull’Osservatore Romano, il nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita Ignacio Carrasco de Paula fa due cose:
(1) ci rende edotti circa lo sviluppo dell’istituzione che dirige;
(2) non ci fa mancare la sua originale posizione sul delicato argomento dell’aborto. Cominciamo da questo.
Dunque, Carrasco de Paula è contro perché abortire significa uccidere un innocente. Come al solito questi signori fanno questo parallelo senza preoccuparsi del fatto che c’è una bella differenza tra interrompere una gravidanza e, tanto per fare per esempio, prendere il fucile, montare in macchina e andare ad uccidere qualcuno a domicilio. Comunque la cosa che preoccupa di più il monsignore è che presto l’aborto potrebbe non essere una tortura fisica, che altro non è che un modo per dire che il Vaticano è contro la commercializzazione della Ru486:
«Non c’è dubbio infatti che facilitarne la pratica può significare banalizzare l’aborto e dunque trasformare la gravidanza indesiderata quasi come un fastidioso raffreddore da eliminare con la pasticca».
Raffreddore sarai tu. Nessuno vuole che l’aborto diventi una specie di contraccezione a posteriori, e in primo luogo per la salute della donna stessa. Infatti si propongono veri metodi contraccettivi, come la pillola anticoncezionale, l’anello vaginale o, meglio di tutto, il preservativo. Ma Carrasco de Paula ha mai fatto una battaglia di questo tipo? O piuttosto si preoccupa solo del fatto che il tutto sia il più doloroso possibile? Se l’aborto venisse praticato con forconi ardenti per lui sarebbe meglio? È accettabile che la soluzione al problema delle gravidanze indesiderate sia la tortura della donna? E parlando di innocenti, quanti sono stati uccisi dall’Hiv a causa degli ostacoli che la Chiesa pone alla all’utilizzo del preservativo?
L’altra aspetto dell’intervista è minore, ma si sa: il diavolo si nasconde nei dettagli. E quindi ecco che, quando l’intervistatore chiede a Carrasco de Paula quale sia stato il percorso dell’Accademia per la Vita in questi anni, lui risponde quanto segue:
«Si sono succeduti diversi presidenti, io sono il quinto: dopo Lejeune, c’è stato il cileno Juan de Dios Vial Correa, monsignor Elio Sgreccia e poi il mio immediato predecessore, l’arcivescovo Rino Fisichella. Il cammino compiuto sino a oggi si può dire che abbia ricalcato la crescita di una persona umana».
Un’istituzione come un bambino? Cinque alti prelati come genitori? Ke idea avere noi di pampini, caro monsignore? Brrr.
Insomma: serve una battaglia, personale, sociale e culturale. Per uscire dal Medioevo e dalla logica della tortura. Che questi signori siano liberi di esprimere la propria opinione, ma tutti dobbiamo cominciare a usare la nostra testa e a esprimere la nostra opinione. Un dibattito aperto e pubblico ci salverà.
Tagged: Aborto, Academia pro Vita, Donne, medieval fun, Ru486