(c) 2011 weast productions
Ho mangiato una pizza. Questa sera. Al ristorante. Accanto a me, due uomini. Lo ammetto: ho ascoltato, tutto. Parlavano di tiro obbligatorio e di tiro non obbligatorio, tiro di piacere, l'uno e l'altro affrontati con passione. Insomma, due a cui piace sparare a un bersaglio con un'arma da fuoco. La descrivevano, come fanno un po' tutti in Svizzera, con riferimento all'anno di produzione. Un 97, un qualcosa d'altro. A parte che fa rumore e che se hai una casa vicino a un poligono di tiro dai di matto, sparare può avere un suo fascino. E' un esercizio di concentrazione. Al quarto boccone di pizza mi sono detto che, uguali ai due signori accanto a me questa sera in pizzeria, chissà quanti ce ne sono in giro in Svizzera di innamorati del moschetto e del poligono. Amori dichiarati o meno che siano. E poi mi sono chiesto ancora che cosa, miracolosamente, trattiene tutta questa gente dallo spararsi addosso. E infine ho concluso, andando in altra direzione, che c'è un potenziale bellico spaventoso fra questi cecchini della domenica: anche in pizzeria. Il fucile è la loro playstation: scaricano, insieme al caricatore, la voglia di farsi a pezzi sul serio. Il fucile è la loro bambola gonfiabile. Cosi' facendo relativizzano la funzione dell'arma di cui parlano e che usano e quindi delle armi in generale. Un'arma che nel weekend stringono, non ho dubbi, più appassionatamente che le loro mogli o compagne. Feticcio e giocattolo, amante e fidanzata ideale. Uno strumento di morte diventa attrezzo sportivo, scappatella dichiarata. "Amore, vado a sparare un paio di caricatori al poligono..." E ci vanno davvero, non è nemmeno una scusa. Quando questi snipers vedono in TV un ragazzino che in Africa piuttosto che in Medio Oriente stringe un Kalashnikov fra le mani commentano, increduli e scandalizzati. Ma se glielo spiego io, a quei ragazzini, che nel mio paese la gente va a sparare senza avere un vero nemico di fronte, scuotono la testa e dicono che i matti siamo noi.Magazine Talenti
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