"Studia, e potrai girare il mondo!", mi dicevano..."Studia, e tutte le porte ti saranno aperte!", mi dicevano..."Studia, e troverai un lavoro comodo e ben retribuito!", mi dicevano... Altri tempi, direste voi. Un altro decennio, direste voi, che quasi pare più distante e differente di un altro secolo. Invece no, non del tutto. La storia si ripete. Si ripete sempre. Mi ero annoverata subito tra i fortunati quel giorno che ho iniziato a lavorare come archeologa. "Di questi tempi...", si dice... Ed io, soddisfatta del mio piccolo traguardo professionale, mi alzavo ogni mattina alle 5.30 per raggiungere, attiva e recettiva, il mio luogo di lavoro. Ero pronta ad assorbire ogni informazione, ad imparare tutto ciò che poteva esserci da imparare, a mettere a frutto le mie conoscenze e le mie competenze. E ogni sera ritornavo a casa stanca, polverosa, accaldata, ma soddisfatta della giornata produttiva appena conclusa. Anche nei miei colleghi percepivo la stessa soddisfazione, la stessa sensazione di fortuna, quando entravamo ogni mattina nel cantiere e, dopo una tazza di caffè in compagnia, ciascuno si accingeva a svolgere al meglio i propri compiti. Ci sentivamo davvero tra i pochi fortunati, a volte capitava di chiedersi come mai, fra i tanti, fossimo stati scelti proprio noi per quel lavoro, per quello scavo, per quel cantiere, per quei ruoli. Fortunati, ci sentivamo. Soddisfatti, ci sentivamo. Sentivamo che stavamo veramente mettendo a frutto gli anni di fatiche e sacrifici universitari, che, comunque fosse andata nel futuro più immediato o più remoto, avremmo potuto dire di essere stati per un periodo della nostra vita dei veri archeologi da campo a lavorare sul campo. Quando, un giorno, le nostre certezze vennero incrinate da un fugace incontro.
Per la serie, le archeoavventure di Rici continuano...
Eravamo tutti al lavoro, chi a scavare, chi a documentare. E una signora come tante altre passò con un bambino per mano vicino al cantiere. Si fermò, si mise ad osservare attenta ciò che stavamo facendo. Noi, abituati alle curiosità dei passanti, non alzammo neppure la testa nella sua direzione, ma continuammo a lavorare. E quella, osservando con aria esperta ogni nostro movimento, a un certo punto si rivolse al bambino che era con lei."Guarda, lo vedi? Studia, altrimenti finirai a picconare come quei ragazzi laggiù!" Fu questione di un secondo, nessuno di noi diede il minimo segno di stupore, ma sapevamo bene che in quel momento stavamo tutti pensando la stessa cosa, che in un flash stavano passando nelle nostre menti i ricordi delle ore insonni passate sui libri, delle interminabili versioni di latino e di greco, delle centinaia e centinaia di pagine accumulate sulle nostre scrivanie, delle pile di libri che sui tavoli della biblioteca somigliavano a barriere invalicabili. Questione di punti di vista...*** Avvertenza: "Il racconti dell'altro Melpum" è una rubrica scherzosa.
