In metropolitana, a volte, si ascoltano conversazioni anche senza volerlo. Stamattina due ragazze parlavano dell’organizzazione di una mostra in memoria di un fotografo morto di recente. Ne è nato un interessante scambio di battute sui cambiamenti che il concetto di fotografia sta attraversando…
Quando mi sono avvicinato alla fotografia, bisognava conoscere il funzionamento della macchina fotografica: diaframma, tempi di esposizione, sensibilità della pellicola, una quantità di scatti consistente prima di raggiungere il risultato desiderato e poche possibilità di condividerne l’effettivo valore. Oggi basta selezionare l’applicazione sullo smartphone, scattare, cliccare ed in pochi secondi raggiungere un vasto pubblico attraverso social media come Instagram, dove, con un altro click, si decide se merita attenzione o meno: più che un cambiamento, una vera rivoluzione!
Il flusso di foto che inonda la rete ogni minuto è impressionante, scatenato da una nuova accessibilità alla fotografia che ha fatto nascere la voglia di immortalare qualsiasi momento della vita, anche il più insignificante.
Mentre la conversazione continuava, ho pensato a Robert Capa. Qualche giorno fa si è
ricordato il centenario della sua nascita, una buona scusa per rivedere alcune delle sue foto entrate nella storia del fotogiornalismo. L’idea, forse romanica, del fotoreporter che attraversa mille avventure per essere testimone di un avvenimento mi ha accompagnato per tutta la vita e Capa è stato un idolo della mia adolescenza. Non desidero entrare nella più che dibattuta questione della democratizzazione della fotografia, ma avverto l’esigenza di trovare un equilibrio, di sentirmi a mio agio mentre scatto una foto anche con lo smartphone: perché non succede?Capa diceva: “Se la foto non ti è venuta bene, vuol dire che non ti sei avvicinato abbastanza”. Con un cellulare forse…