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Suburra

Creato il 16 ottobre 2015 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1
 Suburra Suburra era la Roma antica, sita tra i colli e diventata poi, per antonomasia, il quartiere più malfamato di una città. Era Roma, e col tempo rimane, la città eterna bagnata dalla pioggia e sporcata dalla criminalità. Ma l'acqua non leva via tutto... Dalle pagine di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, prende vita per mano di Stefano Sollima, un conto alla rovescia grigio e bagnato, che anticipa l'Apocalisse.  Nei giorni della Suburra nessuno piú è innocente.«Il Libanese era morto.
Tanti altri erano morti, qualcuno era diventato infame, qualcuno si faceva la galera in silenzio, sognando di ricominciare, magari con un lavoretto senza pretese.
Il Samurai era ancora là. L'antico nome di battaglia denunciava ormai soltanto sogni abbandonati. Ad affibbiarglielo era stato il Dandi, ma lui aveva cercato di esserne degno.
E il potere, quello, era concreto, vivo, reale.
Il Samurai era il numero uno».

Carlo Bonini, Giancarlo De Cataldo, Suburra  Suburra Per capire meglio questo Samurai, dovremmo leggere il romanzo. Dovrei. Devo.Perché di questo meraviglioso e inquietante affresco di una Roma odierna, non ho capito alcune cose. Chiedo scusa ai più, che avranno letto e dato un senso ad alcune scelte narrative, al contrario di me.Ribadire che Sollima sia un grande regista, credo sia noioso ma in ogni caso doveroso. Roma stavolta si vede dai bassifondi, con la bocca e gli occhi che sfiorano l'asfalto. Ed è un effetto ipnotico, seppur spossante. Perché Suburra è la storia di una Roma criminale che si ripete nel tempo. Che plasma gli errori e dimentica le opere di bene, le decisioni giuste, democratiche, fatte per accontentare il volere della plebe.Ma qui la gente non si vede. Non vi è traccia delle autorità giudiziarie, delle Forze dell'Ordine. Niente che sia accostabile alla Giustizia, o almeno, al "tentativo di". Roma è sola.Vuoto. Sgomento. Paura. SuburraE torniamo al Samurai, la figura del diplomatico con le fattezze di un Claudio Amendola, sì all'altezza, ma poco credibile. Il passato che torna e sopravvive, nel fango della criminalità di oggi. Il vecchio boss della Banda della Magliana, onnipresente. Quello che se ne va in giro col T-Max e l'impermeabile, e sembra più un professore che un mafioso. Ma... le apparenze si sa, ingannano. E poi i più pericolosi sono quelli che non ti aspetti. Dicono...Dopo averlo apprezzato nel godibilissimo Noi e la Giulia, torno a parlare di lui con minore entusiasmo. Non che abbia deluso una qualche aspettativa, solo ho fatto molta fatica a dare al suo ruolo una certa credibilità. A un certo punto ho pensato: "Il Samurai sta sempre in mezzo ai coglioni come Jor-El in Man of Steel, perché?"Ovviamente si fa dell'ironia. Ma io l'ho pensato davvero!Così come ho fatto fatica, ad accettare (intesa come reazione fisiologica, quindi inevitabile) un epilogo che sa di giustizia fai da te, molto, ma molto poco verosimile. Non aggiungo altro. No spoiler! SuburraMa Suburra ha il pregio d'essere gigante, e nasconde in ogni caso queste piccole disavventure narrative. Mentre ero in sala ho immaginato persino una serie. I giorni prima dell'Apocalisse, forse, avrebbero voluto distanziarsi maggiormente, l'uno dall'altro. "Suburra - La serie". Sollima e le serie tv, sì. Ma anche ACAB non ci aveva fatto rimpiangere nulla, anzi. Forse con Suburra prendi ancor più coscienza della sua enorme potenza registica, ma anche della sua predominanza in fatto di serialità. L'impressione è che, questo film, risenta della sua stessa natura. Come se il mosaico da rimettere insieme fosse "troppo", e che la Roma di oggi non la racconti in una settimana. Che cinematograficamente fanno 130 minuti. Sono pensieri inevitabili, ma poi succede che davanti allo schermo rimani indifferente a tutto ciò che non va. E non so nemmeno spiegarlo ma...Un po' come quando sai che la tua città se la sta passando davvero male, lo sai. Perché ci vivi e la vedi tutti i giorni.Poi però la guardi, e non ti chiedi più niente.  Suburra Favino è disgustoso. Nel senso che la sua natura d'attore lo porta ad annullarsi come uomo, e lo innalza a simbolo. E come lo interpreti lo schifo? Il politico immune e porco e sporco, che fai fatica pure a guardare o a pensarlo possibile. La sua voce, il suo stare sulla scena come se nulla fosse, un corpo lurido, che diventa l'immoralità, la perversione di tutti, nessuno escluso.Alcune sequenze da brivido, merito del regista, della fotografia di Paolo Carnera, e di un attore che solo, avrebbe raccontato il degrado e l'Apocalisse.Grandi prove poi, quelle di Elio Germano, Alessandro Borghi e Greta Scarano.

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