di Rina Brundu. Per la precisione i due professionisti dell’Washington Post che si occuparono del celeberrimo Scandalo Watergate – tristo affaire pseudo-politico che portò alla richiesta d’impeachment e alle dimissioni del Presidente Nixon – erano gli ormai mitici Bob Woodward e Carl Bernstein. Non chiedetemi invece di riportare qua sotto i nomi dei 1300 giornalisti che sarebbero già stati accreditati a Sanremo 2015 perché non ne ho la più pallida idea, non so chi sono ne se ci sono andati da soli o se ce li hanno mandati.
Più che altro mi ha colpito il numero: 1300! Cribbio!, anche Garibaldi si accontentò di mille uomini, possibile che – in tempi di spending-review – questo esercito di professionisti della carta stampata (e virtuale) sia “strettamente” necessario per raccontare le eroiche gesta di Conti, il ritorno di Albano e Romina, le “mise” delle dive e i loro capricci, le relative baruffe-chiozzote e tutto l’ambaradan gossiparo di contorno?
Per carità, non sono più l’adolescente ribelle che non ci pensava due volte a mandare affa la kermesse sanremese; da parecchio tempo ho anche deposto le armi contro la Sindrome nazionalpopolare che ci affligge: ho capito insomma che, volenti o nolenti, il Festival di Sanremo fa parte della nostra storia. Certo, dell storia con la “s” minuscola, di quella che come polvere si tenta di nascondere sotto il tappeto in previsione dell’arrivo di un ospite importante, di quella che alla lunga sopportiamo con rassegnazione perché in fondo sappiamo bene che la musica italiana è altra cosa: vedi la grande tradizione classica e – nelle decadi appena trascorse – una straordinaria scuola cantautorale unica al mondo.
Detto questo alzare un sopracciglio è ancora permesso, o no? Mi chiedo per esempio chi siano i giornali che stanno mandando questi inviati, chi li spesa, a che pro’, quale sarà il contributo pregnante di queste “presenze” alla nostra crescita intellettuale e artistica. La tema segreta è che buona parte di questi professionisti siano stati inviati direttamente dal servizio pubblico nostrano (dubito infatti che l’Washington Post abbia reclutato i suoi segugi più fidati) e che questo inevitabile (?) carrozzone “giornalistico” itinerante sia stato – una volta di più – pagato con i soldi del contribuente, specificatamente con la pecunia riscossa meno di un mese fa a forza di spot che sfioravano il ridicolo mediatico.
Ma magari mi sbaglio e questa volta le cose sono state fatte bene, mettendo in primo piano le necessità della trasparenza amministrativa. E dell’on-going spending review! Vado subito a cercare la pagina RAI dettagliante i conti di Conti: crepa d’invidia eroe dei due mondi!
Featured image, The Monday, July 21, 1969, edition of the Washington Post, with the headline “‘The Eagle Has Landed’ — Two Men Walk on the Moon”, source Wikipedia English.