Cosa penso del caso Chico Forti, di Claudio Giusti
membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Legalità e i Diritti
Se Enrico “Chico” Forti fosse stato condannato a morte tutto sarebbe più semplice: daremmo per scontata la sua colpevolezza e cercheremmo di salvargli la pelle. Ma Forti non ha una sentenza capitale e proclama la sua innocenza da uno dei supermax dell’American Gulag (1) dove sta scontando l’ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato (LWOP) (2).
Le sue proteste d’innocenza non si trovano a cozzare solo contro la “mission impossible” di convincere una corte americana, ma anche contro il prudente scetticismo di chi, come noi abolizionisti, non ha l’abitudine di prendere per buona qualsiasi dichiarazione innocentista (3) e, per quanto ne sappiamo, l’unica cosa inusuale del processo Forti è stata la sua notevole lunghezza.
Malauguratamente del caso giudiziario e dei dodici anni di appelli sappiamo solo quel poco che raccontano gli amici di Forti. Non abbiamo il verbale del processo, gli opening statements e le istruzioni date alla giuria, non possediamo i writs of certiorari che hanno preparato i difensori nei sei tentativi d’appello, non conosciamo il punto di vista dell’Accusa e nemmeno quello del tanto vituperato collegio di difesa. Non abbiamo le cronache dei giornali della Florida e nemmeno una time table degli avvenimenti. Inoltre i media italiani hanno, con poche eccezioni, sposato acriticamente le lacunose tesi della famiglia Forti. Tuttavia, grazie ai documenti e alle interviste reperibili su Internet, è possibile farsi un’idea, per quanto approssimativa, dei fatti. Senza mettere in dubbio la buona fede degli amici di Forti faccio notare alcuni dei punti che non mi convincono..
PRIMA DEL PROCESSO
I guai di Chico Forti deriverebbero da un’unica bugia. Spaventato dalla polizia avrebbe negato di conoscere la vittima Dale Pike. Secondo l’Accusa invece questa è stata solo la prima di una serie di menzogne di CF che ha lavato la macchina per fare sparire le tracce, fabbricato falsi documenti notarili per costituirsi un alibi, eccetera. Proprio la produzione di documenti falsificati avrebbe definitivamente inguaiato Forti cui sarebbe stata revocata la libertà su cauzione. Questo spiegherebbe perché CF è arrivato alle udienze nella divisa arancione dei carcerati e ammanettato mani e piedi.
La difesa lamenta che a CF non sono stati letti i diritti, come previsto dalle Regole Miranda, e che la polizia ha mentito per metterlo in difficoltà; ma non c’è bisogno di essere un giurista per sapere che la polizia organizza trabocchetti, come fa quella italiana, e che i Miranda Warnings sono letti al sospettato solo quando diventa accusato e ha le manette ai polsi: basta guardare un telefilm del Tenente Colombo.
Si fa anche notare che la polizia non ha avvisato il consolato italiano. Non lo fanno mai e CF non è uno sprovveduto immigrato guatemalteco (dicono conosca cinque lingue) e ha avuto tutto il tempo di avvisare amici, legali e autorità diplomatiche, mentre per Angel Breard e Joseph Stanley Faulder, che sono finiti al patibolo, l’avvocato del consolato avrebbe avuto un’importanza decisiva.
La polizia è accusata di avere incastrato CF per punirlo di un suo cortometraggio sulla morte dell’assassino di Versace (Il sorriso della Medusa). Allora perché non si è chiesto il change of venue e portato il processo fuori dalla Miami Dade County?
Secondo i suoi sostenitori CF sarebbe stato assolto in istruttoria dall’accusa di tentata truffa, circonvenzione d’incapace e appropriazione indebita. Invece la Procura ha semplicemente lasciato perdere (nolle prosequi), visto che stava perseguendo Forti per un reato ben più grave. Quindi non c’è violazione della double jeopardy che, che in assenza di dual sovereignty, vale solo per i verdetti.
IL PROCESSO
Il processo non era capitale e CF non è scampato per un pelo alla sedia elettrica come dicono alcuni. I processi per murder (omicidio di primo grado) iniziano a due o tre anni dal delitto e a volte molto più tardi, soprattutto perché la Difesa ha bisogno di tempo per prepararsi. Non vi è stata alcuna violazione del diritto allo speedy trial. Per essere un processo americano non è stato breve. Le cause penali, nel raro caso si facciano, durano due o tre giorni e solo quelle particolarmente complicate si protraggono per settimane. Quindi 24 giorni con 18 udienze non sono pochi.
Forti prospetta una violazione della Williams Rule, per via della presunta assoluzione per le accuse meno gravi, ma secondo questa regola “relevant evidence of collateral crimes is admissible at jury trial when (…) is used to show motive, intent, knowledge.”
Il collegio di difesa è stato accusato d’inefficienza se non di collusione con il DA e si accusa uno degli avvocati di avere lavorato per la Procura. In America gli avvocati esercitano indifferentemente per un privato o per la Procura e non esiste la separazione delle carriere di cui da noi si parla tanto. In ogni caso mi chiedo perché non sia stata sollevata in appello una ineffective assistance of council come previsto dalla norma 3.850 del codice di procedura penale della Florida.
Gli strali della difesa si concentrano su Thomas Heinz Knott che, grazie al patteggiamento, sarebbe diventato “uno dei testi principali contro Enrico Forti”. Peccato che Knott non abbia testimoniato al processo. Evidentemente la Procura non lo considerava utile e il collegio di difesa probabilmente lo temeva per via della pistola calibro 22 comprata da Knott con i soldi di Forti. Faccio notare che il patteggiamento di un complice in cambio di una condanna lieve è la norma e che, se i difensori consideravano utile la testimonianza di Knott (truffatore ben noto al Forti), dovevano chiamarlo al processo: ora è troppo tardi. (4)
Gli amici di CF affermano che “non ha avuto un giusto processo”, ma non sono in grado di motivare l’affermazione. Sempre secondo loro le prove contro CF sono inconsistenti, ma è evidente che i 12 giurati l’hanno pensata in maniera diversa.
Infine l’ordine delle arringhe finali (closing arguments) non dipende dalla testimonianza dell’accusato (che è sempre sconsigliata) e l’Accusa chiude sempre il processo, con l’arringa o il rebuttal e inoltre i giurati non sono “cittadini eletti a sorte”, ma accuratamente scelti dalle parti. Se il collegio di difesa considerava la testimonianza di Forti importante perché non l’ha chiamato a deporre? Forse perché temeva che il controinterrogatorio sarebbe stato la sua pietra tombale?
Per la famiglia Forti “È molto singolare che il processo non permetta ai giudici di indicare alle parti temi nuovi o integrazioni probatorie: la decisione va presa sulla base di quello che le parti hanno deciso di mostrare loro. Quindi, inspiegabilmente, non sono stati ascoltati, nel processo, l’imputato Forti, la moglie Heather, il condannato per reato collegato Thomas Knott e altri che pure avevano partecipato direttamente ai fatti. L’estrema singolarità di questo modo di procedere appare evidente.” Purtroppo lo è solo per chi non conosce il sistema giudiziario americano.
VERDETTO E SENTENZA
Non si deve confondere il verdetto della giuria con la sentenza emessa dal giudice e i suoi acidi commenti e nemmeno si possono utilizzare canoni italiani nel sistema giudiziario USA dove la giuria non motiva il verdetto e si limita a dichiarare l’imputato colpevole o non-colpevole.
Uno dei punti di forza degli amici di CF è che, al momento della sentenza, il giudice avrebbe detto: “La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale!”. Malauguratamente le affermazioni del giudice sono prive di qualsiasi rilevanza perché ciò che conta è la convinzione che si è fatta la giuria e non sembra che qualcuno si sia preoccupato di intervistare i giurati per capirne le motivazioni. La loro decisione è definitiva e raramente è concesso l’appello.
“The jury decision is final. No matter how wrong or how foolish this seems, there is no appeal. A convicted defendant can also try to appeal on the ground of error at the trial. Generally speaking “error” means legal errors; it is not enough to say the jury must have been wrong, or failed to do justice, or acted stupidly. An appeal court does not try the case over again, or redecide issues of fact. (…) But overall only a small minority of losing defendant go on to a higher court. The rest give up and take their medicine.”
Lawrence M. Friedman
American Law. An Introduction. Revise and Updated Edition, New York. Norton, 1998 p.193.
L’APPELLO
In America l’appello non è un diritto costituzionale e le corti superiori non devono motivare il loro rifiuto del certiorari. In appello non ci sono giurati, non si ascoltano testi e si verifica il verbale del processo di merito. In appello non si deve dimostrare l’innocenza del condannato, ma che nel processo vi sono stati errori legali così gravi e numerosi che questo deve essere annullato. Le sei possibilità d’appello concesse a CF sono un’enormità per un caso non capitale, ma i punti posti all’attenzione delle varie corti: Diritti Miranda, Regola Williams, Double Jeopardy, Convenzione di Vienna, Speedy Trial, Conflitto d’Interessi, sono straordinariamente deboli e non hanno meritato nemmeno due righe di diniego.
LA SITUAZIONE ATTUALE
Il Dott. Imposimato e la Dottoressa Bruzzone sono il collegio di difesa italiano di Forti, ma le controdeduzioni forensi arrivano con 12 anni di ritardo e sono procedural defaulted, mentre gli appelli alle norme internazionali sui diritti umani sono irrilevanti (5). La Dichiarazione Universale non si occupa del diritto d’appello mentre ne parla il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici il cui articolo 14.5 recita:
“Ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l’accertamento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge”
Ma questo non significa che vi sia l’obbligo di fare l’appello come invece è richiesto per i condannati a morte dalle Garanzie ECOSOC.
I confronti con altri casi, dal Cermis ad Amanda Knox, dalla Baraldini a Rocco Barnabei, mettono fuori strada perché ogni caso ha la sua storia e Pietro Venezia, che la Florida voleva condannare a morte, l’abbiamo invece processato in Italia dove sta scontando l’ergastolo.
Per convincere una corte americana a riaprire il caso ci vorrebbe una newly discovered evidence che è come chiedere la luna nel pozzo, ma se anche la si trovasse nulla dimostra che il processo sarebbe annullato e che una nuova eventuale giuria riterrebbe Chico Forti non colpevole.
In attesa che gli amici di Forti si decidano una buona volta a informarci dettagliatamente sui fatti del processo e che qualche autorevole organizzazione americana prenda in considerazione il caso, raccomando grandissima cautela nelle affermazioni e rammento che Sacco e Vanzetti non sono mai stati riabilitati.
Claudio Giusti
NOTE
(1) American Gulag: termine iconoclasta usato anche da Lawrence Friedman per indicare l’immenso sistema carcerario americano che, con 2.400.000 detenuti e 800.000 guardie, costa 60 miliardi di dollari l’anno. Nel 2008 il sistema è aumentato di 1.000 detenuti la settimana per un totale superiore all’intera popolazione carceraria italiana. E’ composto di 5,069 prigioni, di cui 3,365 sono Local Jails, 1,558 State Facilities, 146 Federal Facilities, più 83 Indian Country Jails e 769 Youth Facilities.
Il paragone con il Gulag sovietico sembra essere particolarmente apprezzato:
“the black incarceration rate is nearly double the (…) rate at which citizens of the Soviet Union were confined to the gulag’s camps in Stalin’s last years”
William J. Stuntz “Law and Disorder, The case for a police surge.” The Weekly Standard 23 Feb 2009.
“In truth, there are more black men in the grip of the criminal-justice system—in prison, on probation, or on parole—than were in slavery then. Over all, there are now more people under “correctional supervision” in America—more than six million—than were in the Gulag Archipelago under Stalin at its height.”
Adam Gopnik, “The Caging of America”, The New Yorker 30 Jan 2012.
Gli Stati Uniti d’America detengono il record mondiale di un carcerato ogni 125 abitanti, con un tasso di detenzione di 800 per 100.000. Ma, se aggiungiamo ai 2,4 milioni in prigione i 5 milioni che sono in libertà vigilata (probation e parole), arriviamo a un condannato ogni 40 abitanti e a un tasso di 2.466 per centomila. Nessuno sa quanti siano in libertà su cauzione. Un adulto americano ogni cento è dietro le sbarre e per i maschi neri si arriva a uno ogni nove. Con i 5 milioni in probation e parole siamo a un adulto ogni 31. Ogni 48 uomini in età lavorativa uno è in prigione, mentre il 2% degli americani e il 14% dei neri hanno perso il diritto di voto. 47 milioni di americani hanno precedenti penali, 13 milioni per felonies. [Fonte]
(2) Gli ergastolani sono più di 140.000 (7.000 minorenni). 41.000 non hanno la possibilità di rilascio sulla parola (LWOP) e di questi 2.700 erano minori al momento del crimine (alcuni di 13 anni)
(3) Non ci sono innocenti nel braccio della morte. [Fonte]
(4) Il principale teste d’accusa nel processo al governatore del Michigan Blagojevich non è stato chiamato a deporre e ha patteggiato una pena irrisoria.
(5) In proposito vale la pena ricordare che tutte le norme internazionali vietano nella maniera più esplicita la condanna a morte di minorenni e che invece gli USA lo hanno fatto fino alla sentenza Roper del primo marzo 2005.