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Sul mediterraneo Marina Abramovic

Creato il 10 aprile 2013 da Davideciaccia @FailCaffe

Marina Abramovic è una donna che ha fatto dell’arte letteralmente la sua vita. Questo racconto si ispira a lei e a quello che un giorno di primavera le è accaduto a New York.

ellsworth kelly mediterranee 1952

di aldopalmisano

Il sesto piano tutto per me. Non uno qualsiasi, ma quello dedicato ai grandi artisti che durante la loro vita hanno cambiato il mondo intorno, e ancora oggi lo fanno.

Fare arte per me ha un significato molto preciso, non ho mai dipinto nè prodotto nulla se non attraverso il mio corpo, tutto quello che ho sempre voluto dire l’ho fatto passare sulla mia pelle, come uno specchio che riflette i pensieri dalla mia anima verso quella altrui.

Provate a pensare di dedicare mesi interi con decine di ore al giorno su una cosa sola; voi non potrete più dividere la vostra storia da quella cosa perchè dopo tutto quel tempo essa stessa sarà diventata parte della vostra esistenza. Così ogni volta che ho fatto una performance non ho saputo più dividermi da lei e, poichè le mie performance sono delle opere d’arte, la mia vita è diventata un’opera d’arte.

Per questa così grande occasione, al sesto piano di questo palazzo ho voluto mettere tutta la mia forza in una opera dove neanche una volta sono rimasta da sola. Nulla di complicato, ho solo preso una sedia e mi ci sono seduta; di fronte a me ce n’era un’altra che aspettava di essere occupata. Le persone, poco alla volta, hanno deciso di usarla e uno opposto all’altro abbiamo cominciato a guardarci diritto negli occhi.

Quante cose avremmo da dire, eppure non riusciamo mai a tirarle fuori; quante emozioni vorremmo condividere eppure non lo facciamo, perchè nel petto sentiamo il bisogno del momento giusto. Queste cose aspettano anni e nel frattempo si accumulano fra le dita dei piedi, agli angoli dei gomiti, in attesa di un tempo che come le eclissi arriva tardi e dura troppo poco.

Quella sedia era il giusto momento per parlare, per dire qualcosa senza doversi giustificare, per non sentire quella soggezione che arriva dalla gola fino a riempire la bocca. La sedia serviva ad evitare tutto ciò, serviva ad usare gli occhi al posto della lingua, ad essere protagonisti di un istante speciale come quelli che racconta Borges, che stanno fuori da ogni tempo e che, distaccatisi maestosamente dall’immediato passato e dall’immediato futuro, ad essi non sembrano neanche essere consecutivi.

A un certo punto è arrivato Ulay, come un qualsiasi ragazzo in visita al museo, come se la nostra vita si fosse incrociata solo in quell’istante ha deciso di sedersi proprio come tutti gli altri. E’ strano avere chiaro dopo tanti anni quello che in fondo ho sempre saputo ma che pazientemente aspettava a un angolo del gomito, o fra le dita di un piede.

Io ed Ulay avremmo potuto non incontrarci mai, allora nulla sarebbe stato importante. Eppure con persone come lui basterebbe anche un solo attimo per diventare più che conoscenti, amanti, amici.

Io ed Ulay siamo una cosa sola, nè gli impegni che ci hanno tenuto lontani per migliaia di chilometri, nè l’amore che ci ha unito e ci ha diviso, nè la morte che un giorno si prenderà le nostre ossa potrà mai cancellare quel miracolo che per noi due è stato conoscere l’altro.

Io sono Ulay, nel momento in cui l’ho guardato, attraverso i suoi occhi sono riuscita a vedere il mar Mediterraneo e sulle sue onde c’ero ancora io che navigavo verso l’orizzonte, placidamente seduta sul piccolo ponte di una barca.


Piccola biografia Marina Abramovic
Documentario “Marina Abramovic: The Artist is Present”


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