Magazine Media e Comunicazione
In un contenzioso che ho in corso con un grande quotidiano nazionale, che non volle pubblicare una mia lettera di smentita, distinguevo, per averlo appreso sulla mia pelle, e di questo ringraziavo il detto quotidiano, fra la “libertà di stampa” che compete ai giornali e la “libertà di pensiero”, che è di ogni cittadino, anche analfabeta. Oggi, se ben riflettiamo, la cosiddetta “libertà di stampa” (dei giornali grandi e anche piccoli) è una libertà in contrapposizione alla “libertà di pensiero” dei comuni cittadini. Gli organi di stampa sono in realtà, per lo più, organi di manipolazione del consenso, di diffamazione spicciola, di persuasione subliminale. E qui potrei continuare a lungo per concludere che se scomparissero tutti ne guadagnerebbe la natura, risparmiando la carta, ed anche la nostra libertà di pensiero e di comunicazione, non più influenzata e condizionata dai mainstream. Anni addietro ero stato correlatore di una interessante tesi di laurea dove si parlava di “comunicazione verticale”, che è quella che quotidianamente ci affligge: telegiornali e carta stampata o grandi media come imprese commerciali e metodologie di propaganda e controllo sociale; e poi di una “comunicazione orizzontale”, dove ognuno può parlare direttamente e senza tramiti con ognuno. Allo schema da “uno solo tutti” si passa allo schema “da ognuno ad ognuno”, attivando catene di Sant’Antonio.
Se per “risveglio” si intende questa seconda nuova possibilità, pur con tutte le cautele e i distinguo, io credo che qualche speranza sia possibile nutrirla, a patto che sappiamo difendere i diritti concepibili grazie alla nuova tecnologia. I pericoli sono già presenti all’orizzonte. Di recente, la Hillary Clinton ha espresso un’apparente difesa della libertà di comunicazione della rete, attraverso la quale sarebbero connessi due miliardi di persone, ma subito dopo ha posto quelli che dovrebbero essere i limiti, secondo lei. Vorrebbe una libertà della rete che servisse a destabilizzare un grande paese come la Cina, cioè un sesto dell’umanità, che da solo è uscito dalla morte per fame, che era il grazioso regalo fatto dall’Occidente, ad incominciare dalla “guerra dell’oppio”, con la quale l’Inghilterra imponeva il libero commercio proprio dell’oppio, ossia della droga odierna. Non occorrono molte parole per dimostrare l’ipocrisia della signora americana.
Aggiungo sul tema proposto del “risveglio” un altro spunto che mi fa sempre riflettere, quando ci torno con la mente. In un libro di futurologia, di circa 30 anni fa, comprato su una bancarella a tre euro, lessi di un manager giapponese – un grande personaggio – il quale aveva allora immaginato uno scenario che oggi mi sembra pienamente realizzato. Ognuno di noi, che ne abbia la volontà e la capacità, può diventare da casa sua, dalla sua scrivania, durante il suo tempo libero, un produttore di conoscenza e mettere questa conoscenza a disposizione di tutti quelli che vogliono avvantaggiarsene.
Qui “conoscenza” può essere la semplice informazione che uno dei partecipanti alle manifestazioni del Bahrein mette sulla rete e ci comunica senza la mediazione, spesso sospetta, dei media ufficiali e di regime. Naturalmente, ognuno di noi dovrà avere spirito critico sufficiente per valutare ciò che riceve. Per questo è di estrema importanza che le scuole possano educare ognuno di noi allo spirito critico. A valutare cioè quanto ci viene detto ed a procurarci le conoscenze che servono, quando servono. Ma è questa una nota dolente. Le scuole diventano sempre più un luogo di indottrinamento forzato, di propaganda e di persecuzione dei docenti che hanno coscienza del loro ruolo e della loro funzione educatrice, nel senso appena detto.
Certo, gli stimoli che la tecnologia internet ci offre sono tanti. L’esperienza accumulata consente anche di valutare la trappola della violenza, dell’inganno, della manipolazione. La democrazia di cui tanto spesso si parla in realtà non esiste in nessun luogo e meno che mai nei nostri paesi, che pretendono di essere “democratici”. La violenza che puntualmente si condanna è a ben vedere istigata spesso dai governi allo scopo di poter poi esercitare la repressione e neutralizzare ogni legittima opposizione. La “protesta” è in nuce una forma di violenza: essa diventa sempre più necessaria quanto più vengono ridotti gli spazi individuali di libertà, ad incominciare dalla libertà di pensiero e secondariamente di espressione. Il passaggio da una forte “protesta” ad una forma di “violenza” è quanto mai labile: ormai vengono tacciati come crimini genocidari le semplici scritte sui muri, anche quelli dei gabinetti. Una violenza di popolo che diventasse vittoriosa si trasformerebbe a sua volta in forza legittima, che andrebbe poi a istituire un nuovo ordine giuridico. Basti pensare a come dalla rivoluzione francese sia sorto il moderno “stato di diritto”. La rivoluzione francese è infatti sempre indicata come una fonte primigenia legittimante. Insomma, con la condanna della violenza spesso ci si prende in giro. Nessuno vuole la violenza di per sé, ma se un protesta anche “violenta” sorge da una mancanza di diritto (pane, lavoro, libertà) bisognerebbe puntare l’attenzione sul diritto rivendicato anziché sulla presunta violenza. Sui diritti, sui nostri diritti, abbiamo bisogno di condurre tutti insieme una riflessione. Di “svegliarci” dal torpore in cui ci ha spinto la droga di stato, l’oppio moderno dei media e dei talk show. È importante che ognuno di noi faccia la sua parte ed esplichi quell’impegno di cui è capace. Anziché recarci periodicamente a quei recinti elettorali dove ci viene consegnata un’inutile scheda per eleggere un rappresentante che ci disconoscerà e riderà in faccia il giorno dopo, possiamo votare tutti i giorni della settimana, del mese e dell’anno, assumendo in tutte le situazioni concrete una sola decisione: per l’uomo, in favore dell’uomo che soffre, che è discriminato, criminalizzato, spinto contro il suo simile.
A ben riflettere, è questo il modo in cui ognuno di noi può fare concretamente il suo meglio possibile. Occorre avere l’intelligenza per saper decifrare le situazioni senza che nessuno ti venga a dire cosa fare, cosa è bene e cosa è male. Non voglio addentrami in un difficilissimo discorso metafisico, ma se non siamo capaci autonomamente di distinguere il “bene” dal “male”, non esiste libertà umana e possibilità di decisione umana. Il presente migliore che riusciremo a raggiungere sarà per noi stessi, a nostro legittimo conforto e beneficio. Il nostro concreto e tangibile presente sarà il futuro certo che consegneremo alle generazioni che verranno dopo di noi e che ci giudicheranno, rispettando la nostra memoria e riversando sulla nostra inerzia il loro giusto biasimo. Pretendere di “fare un futuro” che non sia già presente è soltanto una delle tante truffe con le quali la gente è stata spesso puntualmente gabbata.
Antonio Caracciolo su TNEPD
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