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Sulla fortuna dell’esordiente

Creato il 27 febbraio 2012 da Marcofre

Ogni tanto la realtà fa capolino da dietro le chiacchiere, le reti sociali potentissime e capaci di miracoli. Ci saluta, mostra la lingua e tutta ilare si allontana saltellando. Sghignazza pure.
La realtà è quella che lo scrittore Remo Bassini ribadisce in un post su un argomento forse persino liso ma che viene sistematicamente riesumato. Anche la scrittrice Morena Fanti dice la sua completando il quadro.
Buona parte delle case editrici, per diversi motivi, non leggono i manoscritti. Punto.

Ma non è di questo che desidero scrivere; o forse sì.
Sembra incredibile (lo è per me, magari per qualcun altro è normalità), che alla fine della fiera ci si debba affidare a una dea bendata. Soprattutto perché sappiamo molto bene che da sempre (lo riscrivo: da sempre), molti pubblicano le loro opere perché conoscono qualcuno nel posto giusto.

Attenzione. Non sto affermando che è male avere una persona che si spende per noi presso un editore. Capiamoci: è male se quella persona si spende per noi solo perché siamo amici suoi. Talento? Qualità? Non importa, siamo amici, compari! Dammi il cinque, fratello!

Più o meno nell’editoria funziona così. Tutti fratelli e sorelle, in un universale abbraccio che ammazza la letteratura in favore del successo del prodotto. Questo è bene ficcarselo nella testa, in modo da non esaltare ciò che non può essere esaltato. Le eccezioni non mancano, e questo è senz’altro un bene.

Lo so, rumoreggiate(*). Esiste il self-publishing, eccetera eccetera. Che se ne vadano al diavolo gli editori, le loro fratellanze e sorellanze. È vero.

Ma non si può negare che la deflagrazione di questo fenomeno, sia il sintomo di un male profondo. Rappresenta la sconfitta di buona parte dell’editoria tradizionale che non è riuscita a far intendere cosa sia la letteratura, e la sua funzione. E ha attaccato il proprio carro al treno del mercato, trasformando ciò che è soprattutto un bene, in un prodotto come tutti gli altri.

Alt, non dite che si deve campare: anche io ho la residenza su questo pianeta. Basta fare un giro non dico sulle classifiche dei libri più venduti (sarebbe troppo facile, vero?); ma all’interno dei cataloghi delle case editrici. Non solo quelle prestigiose, ma anche le altre, piccole o medie. Si viene colti da sconforto. È un male “trasversale”, purtroppo.

Potrei rincarare la dose e aggiungere che è la scuola, le agenzie educative, la società a non aver educato il singolo al valore della parola. Quindi basta scrivere o parlare senza badare a cosa scrivo o dico: tanto che importa? Il 90% di quello che il Web produce oggi (una percentuale che come si vede, è figlia di un profondo ottimismo) è spazzatura. Verificare le fonti? Spendere 10 (dieci) minuti per avere la certezza che si tratti di una notizia vera e non di una castroneria? Giammai!

Un discorso che si è allontanato dal titolo del post? No. Semmai ho preso questo titolo per tentare una riflessione che andasse un poco oltre il solito, biascicato concetto degli editori cattivoni. E oltre c’è un panorama tutt’altro che meraviglioso. Però immagino che chi scrive se lo debba ricordare, farci i conti e scegliere da che parte stare.
Io credo di aver fatto la mia scelta, degli altri non mi curo. Non per disprezzo, ma perché i miei interessi sono altri. Però è giusto tracciare un confine, separare. Evitare abbracci soffocanti, e scorciatoie.

Come concludere? Ah già: buona fortuna.

(*) Se bazzicate da un po’ su questo blog sapete tutto del termine “rumoreggiare” e dell’iniziativa che c’è dietro, promossa da La Dante. È la parola che ho adottato, e per saperne di più un bel clic qui, grazie.


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