E’ trascorso un anno e ora sono pronta per condividere questi miei pensieri, e felicissima d’averlo fatto! Quanti ricordi sarebbero andati persi…
Sono quasi passati 12 giorni dalla nascita della mia piccola Rebecca. Lei sì che è bella come il sole, con delle guancette paffute e degli occhietti che quando li apre, brillano di un’intelligenza che già lo so, mi renderà fiera.
Della pancia non ho più grossi ricordi, quasi che il parto se li sia portati via con sé, velocemente, insieme all’ultima spinta. Non mi manca, la pancia intendo, non mi manca la sciatica, non mi manca la pubalgia e non mi manca nemmeno d’accarezzarmi quella morbida curva che univa il seno al pube. Ora c’è Rebecca, accarezzare lei è cento, mille volte più bello. Mi domando come fosse possibile che, perfetta fin nel minimo dettaglio, sia stata contenuta all’interno del mio utero che, te lo confesso, mi ha sorpreso. In lunghi nove mesi si è dilatato a dismisura e in meno di due settimane è quasi tornato a regime. E’ la gravidanza, è il parto che ti fa sentire donna, ti scopre coraggiosa e capace di sopportazione e che ti fa capire che il nostro corpo è un elastico perfetto: se non si tira troppo o troppo velocemente, ci accompagnerà ovunque.
Nessun parto in acqua, come avrei desiderato; avevo il sospetto che le cose sarebbero andate diversamente da come mi aspettavo, e per quanto ho lungamente detto a tutti, anche a me stessa, che pazienza, avrei preso quel che passava in convento, l’assenza di quel momento che ho lungamente immaginato mi è mancata.
Ho rotto le acque (le membrane per dirla corretta) il giovedì 23 tra un caffè e una chiacchiera con mia cugina: saranno state le 15,30. Non mi sono accorta subito dell’evento… ma quando le perdite sono diventate intense ed insolite, cristalline ma di uno strano odore che non conoscevo (odore che avrei chiamato qualche giorno più tardi di parto), ho capito. Poi si è fatto tutto confuso e rapido: tra pannoloni, ginecologi, ostetriche e contrazioni. Ho finalmente compreso di cosa si tratta, ma se ci ripenso ora, te lo devo dire, non ricordo con precisione la sensazione: beate endorfine che mi hanno accompagnato durante tutta la giornata, facendomi tremare e regalandomi tregua.
Il travaglio è durato tutta la notte e alle sei del mattino del 24 la mia dilatazione era di 3 centimetri circa. Mi hanno accompagnata in sala parto – travaglio appoggiata ad una sedia a rotelle… non capivo bene dove stessi andando e cosa stesse succedendo. Ho chiamato mio marito, il mio bellissimo marito che è arrivato con una rapidità sorprendente e l’alba e la mattinata più lunga della mia vita hanno avuto inizio.
Ricordo poco dei dolori, ricordo d’aver avuto la voglia di vomitare, ma di non aver vomitato, ricordo un lancinante dolore ai reni che poi alla fine non mi sono stati strappati, ricordo una spaventosa voglia di spingere e una paura spaventosa di spingere. Ricordo d’aver chiesto cento volte all’ostetrica di lasciarmi partorire, e il motivo di quei fremiti che mi muovevano tutta. Ricordo d’aver chiesto aiuto alla Dea, d’aver desiderato essere altrove, d’aver voluto svenire, ma d’aver tirato fuori un coraggio che non credevo di possedere.
Ho partorito alle 12.58: un venerdì mattina grigiastro con qualche gabbiano che sbirciava dalla finestra. Ho partorito su una seggiola, come si faceva un tempo, ho partorito con dolore, senza episiotomia né epidurale, ho partorito la bambina più bella del mondo. Occhi chiari, capelli biondi e boccuccia di rosa. Ora, 12 giorni dopo il parto, il mio piccolo pisciu re dorme serena nella sua piccola culletta protetta dalle 7 janas, da su coccu e dal suo braccialetto verde.
Le suture, la degenza in ospedale e le visite di controllo sono state più pesanti del parto. Io che avevo voglia di casa ho dovuto condividere la stanza con sconosciute più o meno simpatiche e trascorrere 4 lunghi giorni con il timore che Rebecca non mangiasse, con la delusione per il non essere riuscita ad allattarla, con la paura che deperisse, con il pensiero rivolto a mio marito, solo, nella nostra camera da letto.
Sono trascorsi quasi 12 giorni dal momento del parto: cambio la mia piccola Ciuciù con rapidità, uso, come volevo, i panni lavabili, le faccio il bagnetto “quasi” autonomamente, ho conservato il suo cordone che è caduto ieri, e già che il latte nel seno c’è me lo tiro per darle di me tutto il meglio possibile. Avrei voluto allattare, l’avrei voluto con tutto il mio cuore, ne ho fatto anche una malattia lunga una settimana, vissuta nella paura di sbagliare, e di non essere in grado. Ma io odio vivere nella paura, e ho capito dopo qualche giorno che mia figlia merita una madre forte, coraggiosa, in grado di fare tutto quel che si prefigge.
Sarà dura, sarà lunga, sarà dolorosa, ma ora la mia vita è più sua che mia, e io voglio regalarle la parte migliore di me, forte, forte come l’acqua.
Per Rebecca.