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Un tema attualmente molto discusso nel mondo del web, è quello relativo alla protezione dei dati immessi nel circuito della rete da parte dei vari internauti. Da un lato, infatti, individui, imprese, ma anche governi, vogliono conoscere quanto più possibile delle persone con cui hanno a che fare, facendo attenzione ad evitare l’eccessiva invasione nella sfera privata o a non farsi cogliere "con le mani nel sacco". Dall’altro lato, gli individui hanno interesse a condividere e rivelare informazioni personali al fine di ottenere servizi migliori o per soddisfare un naturale bisogno di interazione, ma al contempo non vogliono che tali informazioni vengano sfruttate abusivamente o siano usate a loro danno. In rete siamo di fronte a nuove piattaforme partecipative -"social"-, un certo numero di siti web dai nomi rassicuranti come MySpace, YouTube, Facebook, Twitter che infondono la percezione di uno spazio privato e che tuttavia, al di là dei molti aspetti utili e dilettevoli, legati allo scambio di informazioni e a forme di aggregazione, rischiano di ledere la sfera personale degli individui coinvolti. Questo perchè una volta immesse nella rete è oltremodo difficile rimuovere le informazioni che ci riguardano, anche quando crediamo di averle rimosse o cancellate. Gli utenti riversano in questi siti preferenze, interessi, abitudini: una vera e propria miniera d’oro per chi intende pubblicizzare i propri prodotti nella maniera più mirata possibile, indirizzando i messaggi promozionali e i banner pubblicitari sulla base di una preventiva profilazione del cliente. Ma allora qual'è il prodotto? Cosa produce ricchezza in questo caso? Siamo noi e in particolar modo le nostre informazioni. Non siamo un prodotto nel senso classico del termine - ultimo stadio della catena di montaggio destinato alla vendita- ma in quanto preziosa risorsa, una conoscenza immateriale che orienta il mercato, le scelte aziendali e addiruttura quelle politiche. Siamo noi con i nostri dati, nella nostra veste di prosumer (produttori+consumatori) della rete, con i nostri contenuti ma anche con un semplice click, che alimentiamo l'economia globale, incanalando il tessuto sociale in una direzione piuttosto che in un'altra, in modo indiretto e spesso inconsapevole. e Google? Funziona intorno all'algoritmo PageRank, grazie al quale ogni volta che qualcuno con un sito Web pone un link ad un altro sito, esprime un giudizio di valore. Infatti quando cerchiamo qualcosa su Google i risultati della nostra ricerca vengono ordinati in base al valore attribuitogli dall’algoritmo PageRank Questo motore di ricerca, divenuto in breve tempo il più usato al mondo. è in grado di memorizzare la serie completa degli spostamenti degli utenti, registrando i siti visitati e le preferenze di ciascuno. L’immensa memoria dei database di Google, sottoposti a controlli praticamente inesistenti è capace di contenere i dati personali di miliardi di utenti diffusi su tutta la superficie del globo. Assistiamo ad un rovesciamento del modello panottico, poiché Google non è solo un apparato di sarveglianza-dati dall’alto, ma anche un apparato di cattura del valore dal basso. Valore di rete che trasforma in valore finanziario grazie ai vari inserzionisti che utilizzano la piattaforma Adwords. Questo valore di rank è ufficiosamente riconosciuto come la moneta corrente dell’economia dell’attenzione globale, proprio perché la visibilità online di individui e imprese influenza il loro prestigio e i loro affari. Il nostro simulacro digitale è oggi più che mai reale poichè reali sono i rischi connessi all'utilizzo della rete. Il modello aperto e partecipativo 2.0 è sottoposto al rischio di uno sfruttamento improprio da parte di soggetti “forti” a fini pubblicitari o politici, e l’incontrollabilità degli effetti viral può risultare in certi casi pericolosa. Considerando la privacy all’interno dei nuovi media possiamo rilevare due orientamenti di pensiero. Una regolazione troppo stringente può danneggiare la libertà di espressione e le imprese, che sostengono costi inferiori grazie alla minor dispersione degli spot e la collaborazione dei prosumer-utenti; e gli stessi consumatori, poiché la pubblicità on-line e i servizi personalizzati gratificano, da un certo punto di vista, il ricevente, perché possono essere per lui rilevanti. Dall’altra parte, però, una legislazione troppo indulgente può determinare la liberalizzazione del controllo politico ed economico sulla vita intima e sui consumi, mettendo gravemente a rischio l’inviolabilità della sfera personale non solo nel dominio digitale. Nel momento in cui si accenna a questi “contro”, appare chiaro come il far prevalere i benefici piuttosto che gli svantaggi dipenda in alcuni casi dalle persone stesse. Di fronte a queste nuove tecnologie è necessario ridefinire il concetto di privacy, riuscire a districarsi senza perdersi. L'utente deve mantenere spirito critico e prendere coscienza delle politiche sulla protezione dei dati personali adottate in questi siti, cercando di negoziarle ove possibile e auspicando una semplificazione nella comprensione delle stesse che non sia riduttiva di contenuti, premiando quelle piattaforme che promuovono politiche più sicure e trasparenti, sensibilizzando le autorità competenti come il garante della privacy. Emerge la necessità di promuovere la media-education nelle scuole ed una nuova co-partecipazione fra aziende ed utenti realmente consapevole. Più difficile -e per alcuni eccessivamente burocratica- è invece l'istituzione di una regolamentazione internazionale completa su l'utilizzo di internet, garantendo, tramite un "codice deontologico della rete" (Stefano Rodotà) sia la libertà d'informazione, sia il diritto alla privacy e quindi l'incolumità dei cittadini digitali. Video integrale (Ilcacciatore)
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