Una delle idee più popolari, di cui ho già avuto modo di dibattere a lungo su questo blog, è quella che dice che basta riportare su carta (o schermo) quello che ci capita. Il Web è pieno di esempi del genere, vale a dire di contenuti buttati lì come per riempire un vuoto insostenibile. A giustificazione di tale pratica spesso si citano, in maniera un poco errata, quello che hanno affermato alcuni autori. Sulla necessità di “buttare fuori” quello che si ha dentro.
È vero hanno detto quello, ma pure che bisogna lavorare duro per arrivare a qualcosa di appena decente.
In realtà occorre comprendere che spesso un autore trova senso e significati di cui ignorava l’esistenza. Oppure, nemmeno li cercava, ma all’improvviso li ha scovati.
È a esempio il modo di lavorare di Flannery O’ Connor: d’un tratto ci si trova a scrivere un finale del quale sino a pochi istanti prima non si immaginava nulla. Difficile da credere e da capire soprattutto, eppure è così che funziona. Ed è uno dei motivi grazie al quale il tempo passa, nemmeno sappiamo che cosa sia un samovar o perché certi personaggi di Dostoevskij abitassero in un angolo, invece che in un appartamento. Però leggiamo le sue opere e comprendiamo quello che lo scrittore russo ha cercato di fare. Indagare il mistero del mondo, proclamare che c’è, esiste, agisce ed è del tutto imprevedibile.
Un altro errore che inquina la scrittura è quello che spinge a proclamare che si scrive per esprimere il proprio mondo.
Ciascuno faccia quello che desidera, ma mi pare un obiettivo poco ambizioso. Anche se il mio mondo fosse l’Impero Romano e mi chiamassi Marco Aurelio, esprimerlo mi parrebbe poco interessante.
Chi invece desidera produrre qualcosa che resti, che sia arte, intuisce, e poi comprende sempre più chiaramente, che il suo mondo per quanto interessante (ai suoi occhi) o vasto, non serve. Non è di quello che ha bisogno.
Certo, può usare parte della sua esperienza, ma si tratta di dettagli.
Un autore è a caccia di un tesoro, e non è detto che lo scopra. Spesso la sua intera vita non è che un inseguire le tracce di quel tesoro, che a volte sembra palesarsi, per poi scomparire, ritrarsi chissà dove. Ecco perché si continua a scrivere: la caccia è sempre aperta.
Essere viscerali e immediati funziona solo in certi ambiti, di certo non in quello della scrittura. Se non si è disposti ad agire con calma, e riflettendo a lungo, non si riuscirà a ottenere qualcosa capace di andare oltre il proprio naso. E secondo me è un errore mettersi in mostra, avere una pretesa del genere.
È la storia che si deve mostrare, non il proprio ombelico.