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Sullo scrivere

Da Marcofre

Ogni tanto è bene ribadire alcuni concetti sullo scrivere e dintorni, perché noto con disappunto che sul Web continuano a girare corbellerie varie sulla scrittura. È triste notare come un’attività tanto popolare sia circondata da una tale quantità di informazioni fuorvianti o ridicole. Quali sono? Ne faccio un elenco veloce.

  • Attenzione ai giudizi degli altri. Qui qualcuno potrebbe rumoreggiare(*) parecchio. “Ma come, siamo infestati di autori e ti permetti di dire che occorre prudenza nel giudicare l’operato di un esordiente? Andiamo bene!”.
    Calma. La faccenda è più complessa. Sono certo che il 95% degli esordienti farebbero bene a passare ad altro. Mi rendo conto che a tante orecchie questa affermazione  suoni male, ma è la verità. La maggioranza schiacciante di chi scrive non possiede determinazione, umiltà, e neppure sanno scrivere o leggere e nemmeno desiderano impararlo. Questa è un’ottima notizia per chi ha talento, perché la concorrenza è minima.
    Di qui in avanti però, è nebbia. Flannery O’Connor diceva che se avesse sottoposto i suoi primi scritti a un giudizio esterno, avrebbe smesso di scrivere. Non stiamo parlando di una scrittrice qualunque.
  • Basta la passione. Qui è facile rispondere con un: “Beh, no”. Quella è importante certo, ma non garantisce molto. Spesso è necessario arrendersi all’evidenza: se manca il talento è dura. Se manca il talento, il piacere del silenzio, la voglia di leggere leggere e leggere, e quella di non avere fretta, secondo me non si arriva da nessuna parte. Ma questa è la mia opinione e pertanto va ascritta al paragrafo precedente dove dichiaravo “Attenzione ai giudizi”. Quello che qui mi preme ribadire è che una passione senza studio, fatica e talento (e un’altra manciata di ingredienti che non sto a ripetere) non conduce da nessuna parte.
  • Se non possiedi la tecnica lascia stare. Credo sia giusta questa affermazione, però.
    Non mi pare che sia un ostacolo insormontabile. Con tante letture alla fine si riesce ad averla, però attenzione. Non deve essere la lettura che abbiamo imparato a scuola. Quella che intendo io spinge a rileggere frasi, dialoghi o racconti per comprendere come l’autore ha costruito la scena. Non è sufficiente lasciar scorrere gli occhi sulle pagine, ma è indispensabile fermarsi e tornare più volte sul paragrafo.
  • Devi conoscere i gusti del pubblico. Sbagliato. Il pubblico non sa MAI cosa vuole, glielo devi dire tu. Oppure credi davvero che ci fosse bisogno de “L’idiota” di Dostoevskij? Che la gente in Russia prendesse a testate muri e pareti perché anelava a quel libro, e nessuno era in grado di scriverlo?
  • Scrivi solo di quello che conosci. Se dovessi decretare la regina delle corbellerie, questa è senz’altro la candidata numero uno. Non ho alcun dubbio su questo.
    Con una tale affermazione si crede di avvicinare le persone alla narrativa, quando questa con vigore e gioia ricerca altri orizzonti. Lo so, Melville era davvero stato sulle baleniere, e conosceva molto bene la caccia a questi cetacei; l’aveva praticata. Ma l’esperienza di un fatto, la pratica di qualcosa, non produce una storia di valore, e neppure crea lo scrittore.
    Costui molto spesso è una persona talmente banale che se dovesse scrivere soltanto di quello che conosce, riuscirebbe a sfornare uno smilzo racconto. E basta.
    È il tipico consiglio che nasce sul Web. E qui probabilmente ha senso. Se non conosco niente di sistemi operativi non dovrei aprire bocca (anche se avviene eccome, ma lasciamo perdere).

La narrativa per fortuna nostra osserva quello che succede, e poi s’incammina su un altro piano, e l’esperienza può esserci, ma non è certo questa che la rende degna di lettura. Immagino che questa idea sia la figlia (balorda) di quella che pretende da chi scrive solo impegno e utilità. I libri devono denunciare, schierarsi e via discorrendo. Ciascuno faccia quello che desideri: ma è sbagliato.

(*) Per chi vuole saperne di più sulla campagna di “Adotta una parola”, basta cliccare qui.


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