Super Planet Crash, la gravità è un gioco

Creato il 24 aprile 2014 da Media Inaf

È la gravità – quella “stronza senza cuore” della gravità, come la vuole lo Sheldon di The Big Bang Theory – la regina incontrastata del nuovo gioco che sta impazzando in rete. Si chiama Super Planet Crash, e pone ai giocatori una sfida semplicissima: mettere insieme un sistema planetario in grado di tenere duro per almeno 500 anni. Il punteggio cresce con il trascorrere del tempo, con il numero di pianeti e con la loro massa, che può andare dal peso piuma d’una simil-terra al peso massimo d’un oggetto borderline come una nana bruna.

Attenzione però: come tutti i videogiochi ben congegnati, Super Planet Crash può dare dipendenza. Prova ne sia l’esordio fulminante: da quando il suo creatore l’ha messo online, ed è passata poco più d’una settimana, sono già oltre sette milioni i sistemi planetari realizzati dai giocatori e lanciati come trottole nell’agone virtuale. Mentre i pianeti s’affannano lungo le loro pazze orbite, la configurazione si può condividere sui social network. La fama si raggiunge entrando nello score tracker del giorno, in basso a destra. E il game over può arrivare in due modi: con l’uscita d’un pianeta dall’arena di gioco (un cerchio con un raggio di due unità astronomiche) o con la collisione fra due corpi celesti. Vi sembra facile? Provate: per cimentarsi nell’impresa, basta un browser. L’indirizzo è www.stefanom.org/spc

Lo “stefanom” della url del gioco altri non è che il suo creatore: il “queer astronomer and married with dog” (così su Twitter) Stefano Meschiari, attualmente ricercatore postdoc alla University of Texas di Austin, dov’è approdato dopo un percorso iniziato con la laurea in astronomia all’università di Bologna e proseguito con master e dottorato in California, a Santa Cruz. Non contento di cercarli con l’Automated Planet Finder, il cacciatore di pianeti robotico dell’università di California – Santa Cruz, Stefano i sistemi planetari ha dunque pensato anche di progettarli. E farli progettare.

Media INAF ha provato a fargli svelare qualche cheat, qualche trucco per aiutarvi a guadagnare, ovviamente barando, posizioni in classifica. E Stefano non s’è tirato indietro: «Una strategia è quella di mettere una compagna secondaria vicino alla stella centrale, dunque creando una binaria, aggiungendo poi molti pianeti di taglia terreste, nella zona abitabile, in risonanza uno a uno, così da farli orbitare sullo stesso semiasse maggiore».

È un “trucco” che si presenta anche in natura, nei sistemi planetari reali?

«Certo. Uno dei miei interessi principali, come astronomo, è proprio quello di capire la formazione dei pianeti attorno a stelle binare. Con Kepler abbiamo trovato diversi pianeti che orbitano attorno a stelle binarie, pianeti circumbinari. Ma la modalità di formazione di questi pianeti non è ancora compresa al meglio».

Il gioco sta avendo un successo inatteso, dicevamo. Ma i tuoi colleghi astronomi, si cimentano anche loro a Super Planet Crash?

«Li ho usati come cavie. Ho avuto una dozzina di beta-tester, tutti nel mio dipartimento. E quando ho mandato loro l’email per arruolarli il dipartimento si è praticamente fermato per un intero pomeriggio: i miei amici si sono passati il gioco e tutti si sono messi a cercare una strategia per battere il punteggio degli altri».

Nel tuo futuro c’è più astronomia o più sviluppo di videogiochi?

«Be’, il problema è che questo non è esattamente parte del mio lavoro: è più parte della mia attività di outreach, di divulgazione, per coinvolgere il pubblico nella mia ricerca scientifica. Però le opportunità di ricevere finanziamenti, per estendere quest’applicazione ad ambiti didattici, non mancano. Insomma, vorrei continuare con l’attività divulgativa, e mi occuperò sempre più di sviluppo di software rivolto a favorire la partecipazione del pubblico alla ricerca scientifica. Ma voglio anche continuare a fare ricerca. Dunque non so dove mi poterà il futuro, ma spero che sia all’intersezione fra scienza e didattica».

Per saperne di più:

Guarda il servizio video su INAF-TV:

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina


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