Una straordinaria notorietà piovuta dal cielo. Inaspettata e non voluta. E’ questa che una bella mattina investe Martin Kazinski, tranquillamente seduto in metropolitana. Una folla di cittadini-comuni mortali inizia a fotografarlo e filmarlo. E’ l’inizio di un incubo…
Presentato in concorso alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia, Superstar di Xavier Giannoli ci catapulta in un storia tanto assurda quanto verosimile, che terrorizza chi guarda, intimorito e angosciato dal fatto che ciò che accade sullo schermo a Monsieur Kazinski possa capitare pure a lui. Un’opera che si colloca sulle orme del precedente A l’origine, e che con questo forma un dittico, sull’imprevedibilità della vita e di quelle situazioni nelle quali ci troviamo coinvolti senza volerlo. Ma se il truffatore improvvisatosi capocantiere di A l’origine cavalcava l’onda e iniziava volontariamente “a giocare” ad un gioco imprenditoriale più grande di lui, il protagonista di Superstar vorrebbe abbandonare subito una strana forma di reality che non ha scelto. Se il primo vuole rifarsi una vita dopo aver conosciuto il carcere, il secondo vuole continuare, anzi tornare ad essere, un comune cittadino, di quelli che non amano né seguono il gossip. E ancora, se il primo cerca un’affermazione personale in un’impresa arrivista senza arte né parte, il secondo desidera nient’altro che la più banale normalità. Un termine, “banale”, che non uso a caso poiché perno di una sequenza centrale del film.
Inoltre, come già aveva fatto nel precedente scegliendo come protagonista il simpatico Francois Cluzet (visto di recente nelle nostre sale con Quasi amici), qui Giannoli sceglie un altro attore “comico”, ovvero l’uomo del super incasso Giù al nord, Kad Merad. Ma mentre Cluzet rimaneva tradito da un sorriso troppo tenero per il suo cinico personaggio, Merad non cede una smorfia, rifugiandosi con successo dietro uno sguardo disperato e stanco, affaticato e stranito.
Da sottolineare poi come l’opera di Giannoli sia un’efficace analisi e constatazione del potere dei media (e dei social network), di come anche una soffiata falsa e uno sporadico episodio possano assolutizzarsi fino a decretare la rovina sociale (e psicofisica) di un uomo.
Detto questo, le sbavature ci sono. Eccome. A lungo andare, infatti, il film manca di mordente, pur riuscendo a tenerci attenti per l’assurdità della vicenda proposta. Il materiale si ripete, si accavalla, lasciando trasparire un procedere ad libitum che non giova al finale del film, il quale giunge con un taglio netto che ci riporta improvvisamente alla normalità. Ciò che abbiamo visto è una tragica realtà, non un sogno. Ma l’impressione suscitata dalla cesura è questa. A l’origine si reggeva su basi molto più solide.