Portella della Ginestra
L’imbecillità umana non ha confini e, come si sa, al peggio non c’è mai fine. Questi, poi, sono tempi in cui tutto può accadere senza che nessuno protesti, salvo poi, al momento giusto, far partire la mazzata che ci vuole. Come è successo recentemente con i referendum.
A Piana degli Albanesi c’è una giunta di centro destra che quanto a intelligenza brilla di una viva luce autonoma. Gli amministratori è da tempo che tentano di provare questa loro singolare virtù, e finalmente hanno messo la prima pietra del loro fantastico progetto, tipico della guerra fredda, con l’intenzione di portarlo a compimento quanto prima: costruire una bella chiesa a Portella della Ginestra, dove il 1° maggio 1947 la furia anticomunista dei nazifascisti e del loro capo territoriale Salvatore Giuliano lasciò sul terreno undici morti e trenta feriti, alcuni dei quali rimasti invalidi per tutta la vita o deceduti a causa delle ferite riportate. Una strage di cui parlò la stampa italiana e internazionale e i cui mandanti sono, ancora oggi, ufficialmente ignoti.
Quel giorno i lavoratori di Piana degli Albanesi, di San Giuseppe Jato, di San Cipirello, seguendo l’insegnamento del medico anarchico Nicolò Barbato, si erano recati in quella contrada per una festa laica. Celebrare la fine del fascismo, rivendicare i diritti dei lavoratori, trascorrere sul pianoro una giornata in serenità e allegria con i bambini, gli anziani, le Camere del Lavoro che si erano organizzate per distribuire a tutti i convenuti pane e frutta fresca, le ginestre di primavera. Ebbero invece piombo e morte e la distesa di erba e papaveri fu macchiata del loro sangue. Furono trucidati ragazzi e donne appena sposate, giovani e nubili, capilega e anziani. Non avevano con loro immagini sacre e madonne, santi da festeggiare. I loro sacerdoti erano i sindacalisti, comunisti e socialisti, i capilega. Uno schieramento di forze che aveva vinto le elezioni del 20 aprile 1947, quando il blocco del popolo ebbe la maggioranza relativa dei voti all’Assemblea regionale siciliana.
Ora posso capire che il tempo cancelli la memoria, specie di quelli che dirigono la cosa pubblica e che non hanno mai studiato un bel nulla della loro storia; ma non capisco come l’ignoranza possa sovvertire le cose. Che ci sta a fare il Cristo Pantocratore voluto dalla giunta di Piana a Portella della Ginestra? La domanda sarebbe pertinente se la guerra fredda non fosse finita almeno una ventina d’anni fa anche a Piana degli Albanesi. Evidentemente, a chi governa questa graziosa ex colonia albanese fondata da Giorgio Castriota Scanderberg nel XV secolo, la guerra continua e ogni provocazione è buona per arraffare spazi, dar di gomito, scalzare il prossimo dal suo posto.
Inaugurato dal sindaco Gaetano Caramanno, e dal vescovo greco-ortodosso Sotir Ferrara, alla presenza di varie autorità politiche di centro-destra, il povero Cristo messo lì come un provocatore non avrebbe altra funzione che quella di riconquistare alla cristianità perduta per sessant’anni, un popolo di atei e di comunisti sempre pronti ad agitare le bandiere rosse, ad assaltare le chiese, a invadere piazza San Pietro e a provocare la terza guerra mondiale.
Perciò Caramanno e la sua giunta non potevano restare indifferenti all’ultrasecolare pericolo rosso e, imitando il grande modello del diversamente alto in politica, ha lanciato la sua campagna anticomunista in ciò sostenuto da buona parte delle gerarchie ecclesiastiche di Piana. La cerimonia dei crociati doveva tenersi il primo maggio, con la sagra “Cannoli & Friends”, in coincidenza della strage. Poi, forse per pudore, fu rinviata di una settimana e quindi di un mese circa. L’ospite d’onore doveva essere Lele Mora che se non andiamo errati fu condannato nel 1990 per detenzione di droga ed è ancora indagato per sfruttamento della prostituzione. Un campione di democrazia, insomma. Tant’è che nel film documentario Videocracy dimostra che le svastiche e i simboli del nazifascismo ce li ha cuciti pure nel sedere.
Il piccolo monumento inaugurato il 5 giugno 2011 è solo il primo atto di un’idea più grande. La trasformazione di quel luogo, ormai senza significato per un gruppo di smidollati, in un grande tempio: la cattedrale del Cattolicesimo siculo, con l’eparchia in testa. Aspettiamoci dunque la mossa più incisiva.