Sweet dreams
Si dice che da grandi si smetta di sognare, che sia una prerogativa dell’infanzia e dell’adolescenza.
Forse in parte è vero, visto che mia sorella da ragazzina parlava addirittura nel sonno, gridando contro l’orrida maestra di matematica della seconda elementare, la signorina Masotti, che per anni le ha impedito uno studio serio e sereno della materia. Oddio, a dire il vero per tutta la vita, visto che ad oggi non sa cosa sia un’equazione.
Ok, andiamo avanti.
I sogni, dicevo.
C’è chi dice di non sognare, chi ce li ha sulla punta della lingua la mattina e poi se li scorda, chi sogna Darth Vader che gli dà i numeri e vince al lotto.
Io sogno spesso, sogno tanto e ancor più spesso li dimentico col secondo caffè della giornata. E se così non avviene, mi capita di mischiarli con la realtà, di cominciare a credere che siano cose accadute veramente e mi si confonde il cervello. Una volta, ad esempio, ho sognato che un mio amico aveva l’AIDS e me lo confidava. Dopo due giorni non ero del tutto convinta fosse stato un sogno. Ripensandoci, non lo sono nemmeno ora. O forse sì.
Ma l’altra notte ho fatto un sogno brutto, orribile, come pochi me ne sono capitati.
Non ve lo racconterò, perché ancora non me la sento, ma vi dico solo che si svolgeva in un ristorante molto chic, tipo quelli che si vedono a S&tC, con le luci soffuse, le sedie imbottite e le modanature sofisticate. E che il sogno finisce con me che piango al bagno, sola. Un bagno molto bello, per carità, di quelli con i sanitari sospesi e le fughe delle mattonelle così pulite che ci si potrebbe mangiare. Me ne stavo lì, rannicchiata in un angolo a piangere disperata e quello che mi invadeva più di tutto era un senso di solitudine opprimente.
Piangevo e volevo che qualcuno mi notasse, mi venisse a cercare, mi abbracciasse.
E magari qualcuno sarebbe anche arrivato se il telefono appoggiato sul comodino non avesse trillato per l’arrivo di un messaggio su Whatsapp. E poi un altro. E un altro. Inavvertitamente avevo lasciato la suoneria inserita e le mie amiche hanno problemi sia di insonnia che da dipendenza di Whatsapp.
Almeno metaforicamente, qualcuno ha interrotto il mio pianto.
Evviva le amiche.
Evviva le MIE amiche.
Il sogno mi ha lasciata scombussolata, come se avessi pianto davvero.
E per un motivo giusto, ve lo assicuro.
Se ci ripenso piango anche ora, come una fontana.
Forse è l’ansia che mi divora da un po’, forse è la mia completa incapacità di condividere le mie turbe e caricarmi sulle spalle il peso del mondo. Ho sempre pensato di poter fare tutto da sola, di poter pensare a tutto io per me e per le persone che amo.
Ma il mondo non funziona così.
E non è detto che sia un male.
Forse è il momento di uscire dal bagno e chiedere aiuto.