Sweet new year!

Creato il 07 gennaio 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

Nell’ultimo mese dello scorso anno sono successe un sacco di cose. Berlusconi è finalmente uscito di scena (per un po’, solo per un po’: non illudiamoci), Napolitano ha fatto il Presidente (con viva e vibrante soddisfazione di tutti) ed è arrivato un nuovo premier. Certamente più chic dell’altro e certamente più preparato. Non si sa ancora se preparato ad affossare definitivamente gli strati più deboli della popolazione o a salvare l’Italia. Mah! Vedremo.

Si attendono con ansia le famose misure per la crescita e credo siamo tutti d’accordo che il governo, qualcosa lo debba fare sul serio.

E’ mia opinione, però, che qualcosa (oltre a evitare di evadere le tasse) lo debbano fare tutti i cittadini. A partire (per esempio) da chi lavora nel settore del commercio e turismo che, nel nostro paese, dovrebbe andare alla grande. Dovrebbe.

Ora non mi dilungherò sui vari malcostumi italici che, ad esempio, vietano al pubblico di visitare musei e siti archeologici dopo le cinque del pomeriggio.  Che offrono un’accoglienza alberghiera carissima e sottodimensionata. O che comparano il costo dell’affitto di un ombrellone e due lettini, a quello di un monolocale arredato.

Ma, dico io, almeno servirti una cioccolata in un luogo preposto, non dovrebbe essere considerata una complicazione burocratica. Invece, a volte, lo è.

Dovete sapere che il primo dell’anno, a Milano (anche volendo) non si può fare niente di niente. I musei sono chiusi, i negozi pure e i bar idem con patate. In pratica, se sei un turista giapponese, te ne puoi anche stare chiuso in albergo perché è improbabile che tu abbia voglia di andare a vedere un film italiano o doppiato in italiano.

Se invece sei un milanese abituato al deserto dei tartari post- bagordi, puoi fare due passi e verso l’ora del the, raggiungere una (forse l’unica) cioccolateria aperta.

Per Paolo e me è una specie di rito propiziatorio che dopo aver (ovviamente) saltato il pranzo,  reiteriamo quasi ogni anno. E questo pure.

Così, stando attenti a non calpestare razzi inesplosi e cocci di bottiglia frantumati, arriviamo al locale.  Piacevole, ben arredato, confortevole e dall’aria vagamente parigina.

Peccato che malgrado abbia ben tre piani (al momento stipatissimi), a servire ci siano due (dico due) camerieri in tutto.

Peccato inoltre che lei (la cameriera che arriva dopo un po’) sia di quell’algida scorbuticità propria degli slavi scorbutici. Con l’espressione sfatta e imbronciata di una che ti vorrebbe dire: “sono andata a letto a mezzogiorno, ho dormito tre ore, mi tocca lavorare il primo dell’anno e voi avete il coraggio di chiedermi una cioccolata che non c’è”. Già…Perché delle sette od otto aromatizzazioni, ne sono rimaste quattro. E vabbè: il locale è stracolmo di gente che (come noi) non ha la possibilità di andare altrove e quindi scegliamo tra quel che c’è.

Dopo mezz’ora abbondante di attesa, però (quando una coppia arrivata con noi se n’è già andata) giunge il momento di sollecitare con il dovuto garbo. La cameriera non si ripresenta nemmeno per sbaglio, quindi bisogna fermare lui: un ragazzino tutto storto e trasognato ma, se non altro, un po’ meno antipatico. La prima volta c’invita alla pazienza. La seconda, verificato che la nostra ordinazione è andata persa, la riprende ma (purtroppo) non la scrive perché è certo della sua ottima memoria. Infatti, dopo un’altra decina di minuti, arriva con due cioccolate sguarnite della panna che avevamo chiesto. Siamo tentati di lasciar perdere, ma perché? Così facciamo presente  al ragazzino e lui se ne va di nuovo; tornando dopo altri (boh?) cinque minuti con due  magnifiche tazze pannute e un bigliettino; dal quale constatiamo che le cioccolate  non sono le nostre. Per capirci: i gusti a disposizione erano quattro, noi ne abbiamo scelti due e lui ci ha portato gli altri. Non era facile. Colpiti da un simile talento, ci arrendiamo. Anche perché ormai sono quasi le sei, siamo sfiniti e convinti che la prossima volta lo stordito ci porterebbe un toast al formaggio.

Paolo, tuttavia, non ce la fa e dopo un breve riassunto dell’ultima ora, manifesta al cassiere i suoi sentiti complimenti al servizio del locale; verosimilmente uno zic sottostaffato. Il tizio non fa un plissè. Guarda lo  scontrino e Paolo come se fossero di carta tutti e due e manca solo che alzi le spalle sbuffando.

In qualunque altro paese del mondo, penso che almeno delle scuse le avremmo rimediate. Qua no.

Nonostante la consumazione appena trangugiata, usciamo con un sapore acidulo in bocca,  non potendo fare a meno di immedesimarci nel turista giapponese di prima, colto dalla balzana idea di prendere una cioccolata in un locale “cult” di Milano.

Una domanda affiora spontanea: cosa impedisce al gestore del suddetto locale l’attuazione di banali misure per la crescita, tipo investire sul personale in giornate tradizionalmente affollate? Ha forse paura che i clienti (soddisfatti) possano tornare?

E poi, qual è  il recondito motivo per cui malgrado l’Italia possegga il 50% del patrimonio artistico mondiale, il flusso turistico sceglie sempre più spesso altre mete? Cosa fa sì che il servizio e l’accoglienza di posti incantevoli faccia scappare il cliente  più ben disposto? Perché nel paese “do’ sole” non si riesce  a sfoderare un po’ di calore umano nemmeno per indorare la pillola di un conto quasi sempre astronomico?

Di che male soffriamo, in Italia? Qualcuno me lo spiega?


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