"Esce un nuovo libro di Littell", ecco cosa ho pensato, la Siria era un corollario, una giustificazione per parlare d'altro. E quindi ho iniziato a scorrere le pagine, ad ingozzarmi di ingiustizie, di cecchini subdoli, di segregazioni e di morti. Ho pensato a quanto fossi stata stupida e superficiale a lasciarmi scivolare addosso i titoli dei giornali in cui si denunciavano le atrocità, titoli che contavano decine di morti che mi facevano più o meno lo stesso effetto dei bollettini di guerra afghani, in cui ogni giorno un'autobomba esplode spezzando esistenze non certo meno meritevoli della mia. Quando tutto ciò diventa etichettabile come "normale" o liquidato con un incosciente "ma che t'aspettavi?", quando ad una studentessa di Scienze Politiche di appena ventidue anni non fa nessun effetto, comincia tutto a traballare. Traballa l'indignazione contro la mafia, contro l'arroganza, traballa addirittura l'indignazione contro una macchina parcheggiata lì dove un disabile non può scendere da un marciapiede. E più leggevo più mi arrabbiavo, con me stessa, sì, ma anche con Littell, perché ne Le Benevole il mio menfreghismo borghese aveva trovato un appiglio. Il male è brutto, ma non è assoluto, il disumano non esiste, esistono piuttosto imperativi morali, opinabili, ma riflettiamo su quanto siano, in fondo, universali. Quindi mi sono detta che tutto quello che Littell aveva scritto (un romanzo sanguigno e feroce, ma pur sempre un'opera di fantasia e non generalizzabile) veniva sonoramente smentito dall'orrore della realtà. Littell aveva torto, io avevo torto.
Ma poi mi sono chiesta: "Dove diavolo sono le donne qui? Questi uomini così attaccati alla loro libertà e ai loro diritti, dove le hanno spedite le donne?". A cucinare kebab. Le hanno segregate nelle loro stanze a piangere i propri figli, avvolte in veli neri che sono la base e il fondamento di ogni discriminazione. Quindi ho ripensato a Littell. E ho pensato che non avesse affatto torto, che la libertà è bella, ma è umana, quindi imperfetta e se la si ottiene a discapito di altri può avere anche un sapore orgasmico. Non sono una pacifista, sono piuttosto una giustizialista e credo che Assad meriti il peggio, credo che il tirannicidio e la rivoluzione abbiano ancora un sapore di ancestrale ribellione, con tutte le loro derive, ma infine credo anche che per queste donne siriane, così silenziose e discrete, alla fine dei conti, non cambi poi molto.
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