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Take away

Creato il 04 agosto 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Prendere. Prendere. Prendere. Non basta mai. Ho detto, ma non sapevo che non fosse abbastanza il bagaglio portato via, trascinato, poi abbandonato. Ma non era perso. Solo dimenticato. Niente di importante. Le solite cose. Un paio di scarpe da ginnastica Nike, vittoria & sconfitta del tempo passato: facevo i 100 metri, ero una scheggia… poi un rossetto di lei, una Bibbia rilegata, illustrazioni ricavate da un album di figurine Panini & la parola di Dio, solo immagini corrose dal tempo. C’era dell’altro, probabilmente un quaderno e una penna, pensieri miei, pensieri, troppi, giusto dimenticare l’inutilità. E poi carta, tanta carta, giornali. Il sorriso di Louis-Ferdinand Céline sopra cento copie di Playboy, unica letteratura dell’adolescenza, o almeno la più gradita a quei tempi perché m’inventava uomo o Onan, ma per me credo fosse lo stesso, il significato intendo. Era un viaggio al termine del “termine” e la notte il mezzo, il cavallo di troia per inventarmi eroe fra la via Emilia e il West. Back to the Wild Frontier and don’t look back… Don’t cry out loud, my friend. Don’t look back!
Il vecchio scheletro nell’armadio nello scatolone-bagaglio frignava che voleva tornare nella tomba: un fucile, aveva un fucile, o qualcosa del genere, perché era un ammiratore di chi raccontò la storia, Hemingway. Era bello da giovane quando dava l’addio alle armi. E adesso uno scheletro è solo uno scheletro che non gli appartiene. Non posso curarmi delle sue lagne che odo e odio, anche se sono lontano da Dio e il bagaglio è dimenticato in un dove che io so e non so. La mia ex mi sputa ancora in faccia, ma è solo una lettera di cui non ricordo il contenuto. Perché ho fatto il bagaglio, non so dire, e neanche come. Ma andava fatto. Una questione di sostanza. Il vecchio appartamento è oggi occupato da stranieri che non conosco, ma che immagino tanto simili a me, tutti uguali a me, con lo stesso volto, quello della fanciullezza, anche se mi hanno detto che lì ci vive una coppia di anziani che tutte le sere scopa. Prendere. No, lasciare. Lasciare. Lasciare. E’ questo l’imperativo. O si prende o si lascia. Pure questa è coerenza. E allora lascio, e cammino lento, poi veloce, dove posso incontrare un altro bagaglio simile al mio che prenderò per dispetto, per gettare nel panico il reale possessore. Mi sostituirò a lui, giusto un momento, per capire l’effetto che fa, poi lascerò cadere il tutto nel cestino dei rifiuti. L’hanno già fatto con me, e poi qualcuno mi ha detto che un bagaglio era andato perso. Già, i bagagli hanno le gambe, solo che noi non ce ne vogliamo rendere conto. Non basta mai lasciare. Non basta mai dire che “è abbastanza”… la consapevolezza manca sempre nel contenuto e nel contenente. Forse era perso, come me, il bagaglio lasciato. Non ho portato via niente ed è già troppo. Il bagaglio veramente leggero non ha nome e non si nomina invano. Io ne ho parlato, è abbastanza, è troppo, ma per me, per me, che sono umano e sono memoria, non è sufficiente tradurre in pensiero ciò che ieri è andato perso, perché colpa & volontà così desideravano da me. Viaggio al termine del “termine” e la notte continua ad essere il mezzo. Il solito sbaglio. Cerco l’Orlando e il Furioso, ma Virginia Woolf mi rimprovera: è un fantasma, o giù di lì, così penso sia meglio strozzarmi con il cordone ombelicale di Jack lo Squartatore. E iniziare una nuova vita come se nulla fosse mai esistito, neanche la remota possibilità teorica teologica fideistica illusoria pratica della metempsicosi.


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