Tarallucci e Vino: la storia di Pepi a NYC

Da Anna Maria Simonini @AMSimo

“Passaparola”: un termine che spesso racchiude il segreto della buona riuscita o del lancio di tanti locali, che oltre alla positiva impressione iniziale sappiano offrire nel lungo termine qualità e rigore. La mia domanda ora è: vale anche per attività oltreoceano? Un’amica mi racconta del ristorante di un’amica a New York. I parenti di una mia amica devono andare a New York e io passo i riferimenti del ristorante. Funzionerà? Si! Tutti contenti, felici e sazi. Vista la buona riuscita delle PR internazionali, ho deciso di intervistare per voi Pepi di Giacomo, fondatrice di Tarallucci e Vino, non più solo un caffè all’italiana, ma un vero e proprio gruppo di locali. Anche voi potreste essere interessati alla sua esperienza.

Ciao Pepi, dicci, sognavi un ristorante fin da piccola? Quale era il tuo sogno?

Ciao a tutti. A 5 anni ero già ossessionata dal cibo e volevo fare la cuoca, ero sempre tra i piedi di mia madre ai fornelli. Poi mia mamma e’ morta quando avevo 12 anni e sono stata diciamo “adottata” da una sorella di mio padre, con tanto di campagna e produzione propria di tutto, dalla sua farina, al suo vino, aceto, latte, formaggio, uova, pasta, carne… insomma, l’unica cosa che comperava era il pesce altrimenti tutto era fatto in casa. Mi ha insegnato più o meno tutto quello che so sull’importanza degli ingredienti che si usano, cucinare in maniera sana e creare una convivialità incredibile durante i pasti. Questa due cose, mi hanno segnato profondamente e penso siano i motivi per cui oggi ho un ristornate.

Certo la passione trasmessa in famiglia è sempre importante, è un buon punto di partenza, ma hai avuto anche una formazione professionale?

Chiaramente ho fatto l’alberghiero ma non cucina, bensì in segreteria, per accontentare il sogno di mio padre di farmi approfondire il tedesco. Nonostante tutto, ho appreso tantissimo anche dai reparti di sala e cucina e penso che anche questi anni siano stati una scelta perfetta per me. Dopo una pausa a Londra di due anni per studiare un po’ di inglese, sono tornata in Italia dove ad Assisi ho frequentato gli unici due corsi disponibili ai tempi nel nostro campo, ossia un Diploma di Scienze Turistiche e poi un Master in Economia e Tecnica del turismo.

Come hai fatto a fare il salto e ad aprire negli Stati Uniti?

Durante l’università, il Ritz Carlton di Atlanta cercava 20 stagisti in tutto il mondo e mi hanno selezionata. Volevo venire negli US perché avevo già conosciuto il mio attuale marito a Londra e poi c’era sempre stato il fascino di venire a New York a fare un’esperienza. Dopo circa due anni, una promozione a manager del room service e aver girato e studiato tutti i loro reparti di food and beverage, mi sono sposata e poi mi sono trasferita a New York.  Tramite il mio attuale socio, Luca Di Pietro, ho iniziato a lavorare per una ditta di caffè italiana. Un mio cliente, un pasticciere francese, un giorno mi ha detto che era stufo e che voleva il mio aiuto per vendere il suo locale. Ho preso la palla al balzo e con Luca abbiamo deciso di aprire il nostro primo locale, dall’esigenza di offrire un buon caffè e il concetto italiano di bar pasticceria.

Quindi NY per amore, ma perché proprio quella zona in particolare?

Si, NY perché mio marito viveva già qui. Io vivevo nell’East Village e quindi conoscevo il tipo di clientela, le esigenze e poi la fortuna ha voluto che si presentasse questa occasione di vendita di un locale proprio lì.

Da quanto hai aperto?

Abbiamo aperto il primo caffè a fine Luglio 2001. Il ristorante lo abbiamo aperto nel Novembre 2005, poi abbiamo inaugurato il wine bar nell’Upper West Side nel Gennaio 2011 e infine a Dicembre scorso abbiamo aperto due locali per fare eventi nel palazzo del ristorante.

Hai dovuto adattare ai gusti americani i sapori italiani?

No, ci sono tanti posti italiani così a New York e noi siamo ossessionati dal mantenere le cose come in Italia e la nostra clientela lo apprezza molto. Facciamo tutta la cornetteria, pane, dolci, pasta e altra produzione da soli proprio per garantire tutto ciò.

Qual è il tuo piatto forte, il più venduto?

In realtà cambiamo il menu stagionalmente ma da quando abbiamo aperto il ristorante, non abbiamo mai sostituito due piatti tradizionali abruzzesi, le “screppelle ‘mbusse” (brodo di gallina con crepes ripiene di parmigiano) e le fregnacce (sfoglie di pasta fresca) al sugo di papera.

Che tipo di clientela frequenta i vostri locali – europei o italiani, turisti o locali?

Abbiamo i turisti occasionali ma la maggior parte della clientela sono locali e italiani residenti a New York.

Qual è il prezzo medio per una cena da voi?

$ 50 più o meno per mangiare per antipasto, primo o secondo e dolce.

Dove ti rifornisci per le materie prime?

Ci sono tanti distributori che importano cose dall’Italia e dalla Spagna (visto che abbiamo tanti formaggi e salumi da tutti e due i paesi). Carni e Pesci da fornitori locali anche se la provenienze dipende dal periodo dell’anno. Non ci facciamo mancare nemmeno il tartufo nero e bianco appena sono disponibili.

Non solo ristorante ma diverse attività legate alla gastronomia. Quale va meglio e perché?

Vanno tutte bene a loro modo, anche se hanno lo stesso nome, sono tutti concetti diversi e quindi ogni locale ha la sua anima e clientela specifica.

Quante persone lavorano nel vostro circuito?

Siamo circa 80

Progetti futuri?

Tantissimi.  Stiamo cercando di sviluppare il catering e abbiamo un paio di progetti su cui stiamo lavorando per il futuro ma sono ancora in fase di studio. Il più imminente e’ forse un macaroon bar che, anche se non troppo italiano, ci ispira in questo momento.

Le commistioni ci piacciono sempre e le tendenze vanno cavalcate senza dubbio. Grazie a Pepi per il tempo che ci ha dedicato. Le auguriamo di continuare a progettare e realizzare. Se qualcuno di voi dovesse passare di là, ora che avete i riferimenti non potete mancare, attendiamo commenti e feedback.


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