Ogni epoca ha le sue mode e i suoi tratti distintivi. Qualche anno fa hanno ottenuto grande popolarità tra i diversi strati sociali i tatuaggi: una delle forme artistiche previste dalla “body art”. Ad oggi, non fanno grande scalpore e sembrano essere meno legati ad una questione di moda e più vicini ad una “scelta personale”.
Sono anche oggetto di trasmissioni televisive (Miami Ink, L.A. Ink) in cui vengono mostrati diversi momenti del processo: la scelta dell’immagine o delle parole da imprimere, la realizzazione mediante apposita apparecchiatura e la spiegazione delle motivazioni e dei significati che contengono.
Il tatuaggio nasce nelle tribù primitive per decretare un legame di appartenenza ad un preciso gruppo e si diffonde nella cultura occidentale, inizialmente all’interno di sottoculture.
Tatuare il proprio corpo ha progressivamente perso la sua valenza estetica, per assumerne un’altra, legata alla comunicazione di se stessi. Gli adolescenti e i giovani testimoniano questa diversa esigenza e funzione. Una recente ricerca pubblicata sulla rivista Medicine Family ha riscontrato che su 4.000 studenti frequentanti scuole superiori del Veneto, il 6% dei ragazzi possiede almeno un tatuaggio, ben il 20 per cento ha un piercing e poco più del 2,5 entrambi. Le ragazze sembrano essere più propense per i piercing, i maschi per il tatuaggio.
Molti adolescenti e giovani riescono ad “incidere” la propria pelle ancor prima di raggiungere la maggiore età, con o senza l’autorizzazione dei genitori attraverso vie alternative a quelle legali.
Un grande bisogno, quindi, di affermare se stessi e il proprio vissuto. Un tatuaggio che da immagine diventa simbolo: di sofferenza, di conflitto familiare, di appartenenza, di appropriazione del proprio corpo, di ribellione o contestazione, di memoria, di una nuova identità (Cimmino,2006). Il bisogno estetico viene superato, soprattutto quando i ragazzi scelgono di tatuare parti del corpo nascoste o poco esposte. Alcuni ragazzi non vogliono rivelare l’immagine, la figura, la scritta scelta. Così il tatuaggio perde anche la funzione di definire l’appartenenza ad un gruppo o il bisogno di dire agli altri chi si è. Acquista una dimensione privata, quasi come se questi giovani che ricorrono ad una body-art “nascosta”, avessero bisogno solamente di ricordare a se stessi chi sono oppure di abbellirsi, sentendosi più a loro agio con loro stessi. Ovviamente è curioso che il tatuaggio (nato per essere esibito e mostrato) finisca per essere nascosto, ma non è così strano che proprio nell’adolescenza si senta il desiderio di affermare il proprio “Io”, mettendolo per iscritto sulla propria pelle. Instaurare un legame con il proprio corpo e sottometterlo alla propria volontà dandogli un personale segno di riconoscimento non appare, dopotutto, così diverso dall’esprimersi attraverso l’abbigliamento, l’ideologia politica o la scelta religiosa.
Questo fenomeno, quindi, non deve allarmare i genitori portandoli a considerare i figli “deviati”, ma al tempo stesso, non va nemmeno banalizzato o accompagnato da sole parole di rimprovero. L’eventuale richiesta di un tatuaggio da parte del figlio al genitore indica chiaramente un’esigenza da non sottovalutare. Permettere all’adolescente di raccontare le sue ragioni, i perché della sua domanda, può aiutarlo a spostare “il bisogno di esprimersi dal livello corporeo a quello verbale”(Jeammet, 2007), magari riuscendo non solo a ritardarne la tatuazione, ma anche a farne addirittura venir meno la necessità e il desiderio.