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TAV, flop ereditario

Creato il 12 settembre 2011 da Oblioilblog @oblioilblog

TAV, flop ereditario

L’alta velocità è un affare disastroso. Talmente catastrofico che c’è chi ha pensato bene di dedicarci un libro. Si tratta di Ivan Cicconi che ne “Il libro nero dell’Alta velocità” racconta la storia della più grande torta del secolo.

Le due direttive principali (Torino-Trieste e Milano-Napoli) furono pianificate nel lontano 1991. Già dal principio, però, l’investimento è stato pensato più per gli interessi privati che per il bene della comunità. Vale molto la testimonianza di Sergio Cusani che al tempo aveva decisamente le mani in pasta. I percorsi principali, suddivisi in sei tratte, erano stati affidati a ENI, IRI e Fiat, i pilastri dell’economia italiana del tempo. L’altro colosso, il Gruppo Ferruzzi, rimasto escluso, reduce dall’affare EniMont, fece pressioni per entrare nella cuccagna e così nacque anche la Milano-Genova. 

Luigi Preti, leader socialdemocratico, uno dei padri costituenti, più volte ministro dei Trasporti, capì dall’incipit l’andazzo e con una lungimirante lettera datata 13 febbraio 1993 mise sul chi va là Franco Reviglio, ministro del Bilancio:

Comincio col dirti che non è in nessuna maniera accettabile la tesi che l’Alta velocità sarebbe “un sostegno allo sviluppo e all’occupazione” nonché “uno strumento utilizzabile per ridare ossigeno all’industria nazionale. Se si tratta di aiutare la FIAT, l’IRI e l’ENI per fare guadagnare ad essi qualcosa, può esser compreso da alcuno, ma non da me. L’industria non si sviluppa con questi lavori di costruzione, ma con imprese destinate a durare. D’altro lato, dieci o quindicimila persone eventualmente impegnate per alcuni anni nei lavori dell’Alta velocità sono ben piccola cosa sul fronte dell’occupazione. Senza contare che altri lavori, intesi a mettere a posto tante linee ferroviarie in pessime condizioni già esistenti, darebbero almeno lo stesso risultato.

Nel documento si dice che il prezzo forfettario per le nuove tratte non potrà in nessun modo cambiare e i general contractors dovranno consegnare “chiavi in mano” nei tempi previsti. Sono matematicamente sicuro che i general contractor troveranno il modo di farsi pagare di più, indipendentemente dalla scusa degli scavi archeologici. Poiché l’ENI e l’IRI in quel momento avranno verosimilmente cessato di esistere, coloro che succederanno porranno il problema della maggiorazione delle spese. Per quanto poi riguarda la FIAT, sappiamo benissimo che essa sa facilmente risolvere questi ed altri problemi e lo Stato è sempre verso di essa molto comprensivo.

Si dice che la TAV, inventata da Necci avrebbe il pregio di coinvolgere i privati nella Società. Questo è assurdo, perché io ho l’elenco nominativo degli Enti o Società che dovrebbero sottoscrivere una parte delle azioni, ma questi sono quasi tutti pubblici, a partire dalla Banca Commerciale, dal Credito Italiano, dalla Banca Nazionale del Lavoro, dalla Banca delle Comunicazioni. Il cosiddetto capitale privato non arriva nemmeno al 10%, e dubito molto che venga immediatamente sottoscritto con effettiva disponibilità di denaro. Ho visto che tra i privati ci sarebbe la Fondiaria. Ma non credo che il Gruppo Ferruzzi, il quale oggi la controlla, sia in grado o comunque sia disposto a sborsare denari. La verità è che questa è solo una montatura di Necci per convincere il governo di una “grande novità”, che in realtà non esiste. Tutto sarà pagato dal Tesoro dello Stato, se l’operazione si dovesse fare.

La previsione di Preti si rivelò azzeccata: la TAV è diventata un pozzo senza fondo a carico esclusivamente dello Stato in cui i privati hanno sguazzato allegramento. Nel ’91 si era previsto un costo finale di 27 mila miliardi di lire, vale a dire 14 miliardi di euro. Il prezzo effettivo della realizzazione è stato ben più salato: 90 miliardi. Sei volte tanto.

L’affare TAV ha sopravvissuto a Tangentopoli e ha continuato a foraggiare aziende e politici anche nella Seconda Repubblica, di cui di fatto è una pietra miliare. Bastano un paio di dati per evidenziare come il progetto viaggi totalmente all’esterno di una qualsivoglia logica commerciale. Prendendo ad esempio la contestata tratta che passerebbe per la Val di Susa.

Secondo le valutazioni ufficiali di FS l’attuale infrastruttura può garantire un traffico di merci fino a 32 milioni di tonnellate, nel 2003 si prevedeva il raggiungimento di questo volume nel 2015. Dal 2003 al 2010 il volume di traffico non solo non è aumentato ma è addirittura diminuito del 72 per cento. Nel 2010 sono transitate 2,4 milioni di tonnellate di merci, il 7,5% della potenzialità consentita dalla linea storica.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano


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