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Te Faruru: L'Eden di Gauguin e la nascita delle avanguardie artistiche
Creato il 19 luglio 2012 da Alessandro Manzetti @amanzettiO Morte, vecchio capitano, è tempo! Leviamo l'ancora! Questo paese ci annoia, o Morte! Spieghiamo le vele! Se il cielo e il mare sono neri come l'inchiostro, I Nostri cuori che tu non conosci sono colmi di luce!
Versaci il tuo veleno perchè ci dia conforto! Noi vogliamo, tanto questo fuoco ci brucia il cervello, Affondare nell'abisso, Inferno o Cielo, che importa? affondare nell'Ignoto per trovare qualcosa di nuovo!
(Baudelaire da Voyage, 1859)
Queste righe di Baudelaire esprimono la tensione del'epoca per la fuga dalla civiltà e dal mondo borghese, invocano in qualche modo una soluzione individuale, una evasione dalle stesse prospettive artistiche e dal decadentismo dell'epoca. Riflessioni e nuove filosofie scuotono il mondo dell'arte ufficiale, che è nato con la borghesia, e ora si delinea come celebrazione dell'ipocrisia, più che rappresentazione della realtà, nascosta sotto il piacevole velo delle illusioni. Nasce il mito dell'evasione, del "diventare selvaggi", non si tratta di qualcosa di nuovo, se guardiamo alla Francia e all'illuminismo. Ma ora c'è qualcosa di diverso: se la critica prima aveva come obiettivo le archetipali logiche feudali, ora è la borghesia il vero nemico. Borghesia che in fondo si traduce in civiltà, in senso stretto. Il vecchio mito del buon selvaggio da chiave per cambiare la società si trasforma ora in porta per evadere da essa. Uno dei protagonisti di questa fuga dalle costrizioni e dalle ipocrisie dell'epoca, sia a livello personale che artistico, è Paul Gauguin. Sulla casa dove finirà i suoi giorni, Gauguin scrive in lingua maori: "Te Faruru" (qui si fa l'amore), l'amore è dunque la medicina giusta, secondo l'artista, per superare l'alienazione dell'uomo, la sua decadenza. Tahiti, che Gauguin sceglierà come proprio Eden, rappresenta solo uno dei mondi privati, selvaggi e primitivi che molti artisti decideranno di vivere, ognuno alla ricerca del proprio Eden: Kandinsky nel Nord Africa, Nolde nei mari del Sud e in Giappone, Pechstein alle Isole Palau, Klee e Macke in Tunisia, Segall in Brasile, e tanti altri.
Ma questa fuga fisica dalla civiltà non coinvolge solo il mondo della pittura e delle arti figurative, gli stessi poeti e scrittori si affiancano, come Eluard che nel 1924 tenta la stessa rotta di Guaguin per Tahiti. La ricerca della purezza, della verginità, della integrità di se stessi convolgerà molti artisti, sia a livello artistico che personale, l'esotismo diviene una soluzione definitiva a tutti i problemi, prima di mostrarsi come ulteriore sconfitta, con il ritorno amaro e desolante nella realtà, nella società. Ma queste sconfitte lasceranno un segno profondo nell'arte e nella rappresentazione della realtà; i primitivismi, l'arte africana e oceanica e le civiltà pre-classiche, tramite i viaggi e le fughe degli artisti, le esposizioni di manufatti che verranno organizzate in Europa, le nuove scoperte degli scavi, i viaggi dei mercanti coloniali, cambieranno per sempre il mondo dell'arte, saranno le vere sorgenti delle avanguardie artistiche del novecento. Gauguin incarna in pieno questa ricerca, questa tensione dell'epoca che scorre tra i colori fantastici delle sue opere del periodo tahitiano.
Questo articolo nasce dunque per approfondire il momento di passaggio, cruciale, tra decadentismo e avanguardia nel mondo artistico: l'ingresso nell'immaginario europeo dell'arte africana e oceanica, del primitivismo, delle civiltà pre-classiche che si pongono come soluzioni antiche e innovative, allo stesso tempo, per liberare l'arte dai lacci culturali di una società dai valori ormai logori che non riesce più a ispirare nuove prospettive artistiche. Per offrire un quadro della situazione più completo possibile, almeno come spunto iniziale per suggerire questa ricerca appassionante delle fonti delle avanguardie artistiche, mi aiuterò con il saggio "Le avanguardie artistiche del nocevento" di Mario De Micheli, un testo essenziale per chi intende approfondire personalmente, che oltre a definire le sorgenti delle avanguardie artistiche ci porta poi, decisamente, all'interno dei vari movimenti, con una panoramica davvero completa, offrendo anche documentazione molto interessante in appendice, come la pubblicazione dei manifesti di diversi movimenti artistici. Dal dadaismo al surrealismo, dal futurismo al cubismo, dall'astrattismo al suprematismo, dal raggismo al produttivismo, il saggio di De Micheli riesce a documentare e contestualizzare, chiarendo le varie complesse connessioni tra i movimenti.
Questo articolo, a differenza del saggio di De Micheli, si concentrerà solo sulle fonti e ispirazioni delle avanguardie artistiche del novecento, all'arte africana e oceanica e ai nuovi modelli che influenzeranno profondamente il percorso artistico dei grandi autori, dalla fine dell'ottocento fino alla metà del novecento, con particolare attenzione al mondo della pittura e della scultura. Come vedrete l'articolo è completato da diverse immagini, che rappresentano parallelamente antichi manufatti di arte primitiva e alcune delle opere che, in un modo o nell'altro, vi hanno trovato ispirazione, sia in termini di forma, di linee, di concezione plastica e spaziale, che di contesto o di filone filosofico, tornando al mito dell "essere selvaggi" e agli Eden di Gauguin e di molti altri artisti. L'articolo prosegue con la pubblicazione di alcuni estratti che ho selezionato dal terzo capitolo del saggio di De Micheli, "I miti dell'evasione", riguardanti nello specifico la parte dedicata al "primitivismo e negrismo", che offrono informazioni e spunti soprendenti nella scoperta delle radici dell'arte moderna:
Estratti dal terzo capitolo "I miti dell' evasione" del saggio "Le Avanguardie artistiche del novecento" di Mario De Micheli
(...) D'altra natura erano dunque l'esotismo di Gauguin, la protesta di Vang Gogh, il moralismo caustico e allucinato di Ensor, la rivolta dello stesso Munch. La posizione di questi artisti era lontana sia dal decadentismo macerato d'unguenti e di vizi mentali dei vai Moreau che dal decadentismo euforico dei Marinetti. Era cioè una posizione di ribellione critica a una società storicamente costituita, ribellione individuale fin che si vuole, ma non in nome di una pura negazione nostalgica d'epoche tramontate e tanto meno in appoggio alla situazione in atto. L'esotismo di questi artisti, dei pittori e degli scultori d'avanguardia, sorgeva dunque, in fondo, da una repulsione attiva. Nei primi anni del secolo tale repulsione divenne sempre più radicale, coinvolgendo nel rifiuto anche molti di quegli aspetti della cultura, che pur fruttuosamente la storia precedente aveva creato. Si giunse perfino a respongere, nelle arti, la grande eredità figurativa dell' Europa occidentale. (...)
(...) Un interessamento non diverso, per per gli stessi motivi, si manifestò per l'arte arcaica, in particolare per la scultura arcaica. Le scoperte che si andavano facendo in quegli anni con una intensa attività di scavi portavano alla luce tesori di opere primitive, che soggiogavano con la loro novità espressiva gli artisti. Tutto ciò che era "barbaro", tutto ciò che non era Grecia classica o Rinascimento o tradizione a esso collegata, attirava con insolita violenza. Il modo in cui gli artisti si rivolgevano all'arcaico, al barbaro, al folclore contadino, alle civiltà pre-classiche, non era sempre uguale e non sempre dava gli stessi risultati, ma ancora una volta poggiava sul denominatore comune dell'opposizione all'arte ufficiale o sulla spinta all'evasione. In questo senso, non c'è dubbio, la più grande influenza sugli artisti europei venne esercitata dalla scultura nera. (...) Allora non si facevano troppe distinzioni, si chiamava "arte nera" sia la scultura africana che quella dei popoli dell'Oceania, in particolare della Polinesia, da cui, di frequente, i mercanti coloniali francesi portavano qualche pezzo nei loro viaggi di ritorno in patria. Solo più tardi si incominciò a stabilire una differenza tra le opere delle varie razze, regioni e tribù. Ciò che in quegli anni contava era un'altra cosa. Era il fascino di una visione nuova, specchio di un'anima collettiva libera da ogni vincolo di schiavitù civile. Non per caso, dunque, Vlaminck o Matisse o altri ancora avevano "scoperto" l'arte negra. La scoperta corrispondeva all'esigenza generale degli artisti d'avanguardia, poichè in tale esigenza si riflettevano tutte le ragioni della rivolta contro la cultura, i canoni, le convenzioni vigenti (...)
(...) Vi furono pittori, come i cubisti, che ricavarono dall'arte nera soprattutto una lezione formale. Essi furono scossi principalmente dall'energica forza di sintesi che nelle maschere e nei feticci neri predominava su qualsiasi valore plastico. Da tale osservazione, questi artisti derivarono l'istanza di costruire il quadro con modi più decisi, con un disegno più definito, più marcato; di creare, tanto nella statua che nel quadro, una struttura ferma, netta, proprio come nelle sculture nere. Si trattava infatti di una lezione senza precedenti. Insoddisfatti delle ultime schiume dell'eloquenza romantica, nonchè dello sfarfallio di tanto facile impressionismo, essi riconoscevano in queste statue barbariche un insegnamento sorretto da un estremo vigore, capivano che la loro efficacia dipendeva dal fatto che in tali sculture il procedimento narrativo era ridotto all'essenziale: per gli artisti neri non si trattava di descrivere un'emozione, ma di enunciarla senza frantumarla o disperderla in un moltiplicarsi di emozioni minori. I modi plastici negri erano scanditi, asciutti, semplificati al massimo: larghi piani, volumi netti, deformazioni sommarie. Nessuna perifrasi, nessun sofisma figurativo. In quei legni neri, in quelle statue uscite dalle mani di un selvaggio, scolpite con un rozzo coltello in una foresta del Congo o nelle isole Polinesiane, l'immagine viveva di una fermezza contratta di una forma assoluta. (...)
(...) Ma se per gli artisti che poi diedero vita al cubismo la lezione dell'arte nera era soprattutto di natura formale, per gli altri, e in modo speciale per gli impressionisti, l'arte nera ebbe un significato più profondo. Essi sentirono che il valore di quell'arte oltrepassava i semplici dati formali. Essi trovarono in queste statue, in queste maschere larghe, con gli occhi bucati, coi denti scoperti, truccate di creta rossa e gialla, qualcosa di cui erano in cerca. Essi sentirono palpitare nel cuore dei feticci le oscure potenze del cosmo. Ciò che emanava da quelle sculture, il terrore della natura, la minaccia incessante delle febbri, dei venti, dei fiumi in marcia attraverso le foreste, la primitiva tristezza della morte, colpiva particolarmente lo spirito degli espressionisti. In quelle statue si specchiavano come in un lago nero: sembrava che gli artist neri fossero riusciti a dar affiorare nelle loro opere quel sentimento tragico dell'esistenza che anch'essi volevano esprimere.(...)
Apollinaire fu il primo a scrivere una serie di acute osservazioni sulla scultura nera, anche se discutibili dal punto di vista scienfifico, nella prefazione a un libro edito da Paul Guillame, il primo mercante d'arte moderna che, a partire dal 1913, si occupò sul piano commerciale anche della scultura africana e oceanica. Le osservazioni di Apollinare tuttavia nascevano soprattutto da preoccupazioni estetiche in qualche modo separate dal mondo che la scultura dei selvaggi rappresentava. Fu Tzara invece che insistette nel 1917 e nel 1918 sul significato poetico di questa scultura intimamente legata alla concezione del mondo propria di quegli artisti primitivi e dei popoli a cui apparteneva. Ma anche la sua intepretazione, naturalmente, non poteva mancare d'essere infuenzata dai suoi umori dadaisti. (...)
(...) Così è ancora l'instanza rimbaudiana, il diventare selvaggi, che si palesa nella sua pagina "Occhio: bottone, apriti largo, rotondo, aguzzo, per penetrare le mie ossa e la mia fede. Trasforma il mio paese in preghiera di gioia o di angoscia. Occhio d'ovatta, cola nel mio sangue. L'arte, nell'infanzia del tempo, fu preghiera. Legno e pietra furono verità. Nell'uomo io vedo la luna, le piante, il nero, il metallo, la stella, il pesce. Come scivolano gli elementi cosmici. Deformare, bollire. La mano è forte, grande. La bocca contiene la potenza dell'oscurità, sostanza invisibile, bontà paura, saggezza, creazione, fuoco"
(...) In vari modi, in diversa misura, l'esotismo, il negrismo, l'infantilismo, l'arcaismo affascinarono dunque, nei primi anni del secolo, gli artisti di ogni parte d'Europa: da Picasso a Legèr, da Lipchitz a Brancusi, Modigliani, da Barlach a Martini, da Kirchner a Heckel, Nolde e Pechstein, da Klee a Mirò. Il rivolgersi, non solo alle suggestioni dei miti primitivi presi in sè, cioè nei loro aspetti di innocenza, di purezza e di lontananza dalla deprecata società borghese, ma anche nelle forme di cui tali miti si rivestivano, era una maniera di più per portare innanzi, alle sue estreme conseguenze, anche la rivolta contro i moduli figurativi della tradizione europea che pur avevano toccato nell'ottocento alcuni risultati di grande maturità. ma questa non era che una conseguenza fatale. Non un capriccio, non un'eccentricità, non una bizzarria guidava gli artisti, ma tutta una serie di gravi motivi. (...)
(...) Scandalizzare il borghese, giocargli dei tiri mancini, fare lo sgambetto al filisteo, mettere alla berlina il benpensante, ridere dei funerali e piangere alle nozze, diventò una pratica comune degli artisti d'avanguardia, una pratica che aveva una radice storica assai più seria di quanto non si è voluto credere. Persino il gesto di Max Jacob, che, pare, dipingeva infantili quadretti servendosi di sgradevoli materie fisiologiche per venderli poi ai turisti di lusso, non era del tutto privo di una sua logica storia. Ma al di là di questi gesti, la polemica e la protesta stavano ormai per entrare in una fase di asprezza estrema, di sconvolgente aggressività. L'artista tendeva sempre più a trasformarsi in signum contradictionis. Dai sintomi isolati della rivolta si passava così al secondo tempo, cioè alla organizzazione dei movimenti della rivolta. (...)
(...) L'espressionismo, il dadaismo, il surrealismo da una parte, il cubismo, il futurismo, l'astrattismo dall'altra sono i "movimenti" in cui questo secondo tempo si è articolato. La vita di questi movimenti costituisce appunto la storia delle avanguardie artistiche moderne (...)
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