A proposito dell’uso delle tecnologie in ambito didattico, argomento che sembra mantenersi sempre vivo nel dibattito dentro e fuori la Rete, ho letto recentemente questo e altri articoli, molto approfonditi e molto giusti, ma anche spesso – a mio parere – molto lontani da quello che è e purtroppo sembra destinato a essere ancora per molto il panorama non solo e non tanto educativo, quanto strutturale, organizzativo e strettamente economico della scuola. Chi segue questo blog sa quanto l’argomento mi stia a cuore (tra i vari interventi, rimando a questo) e quanto io sia tra i primi ad auspicare un totale cambiamento del modello di apprendimento, in senso digitale e non solo, dato che trovo l’attuale sistema educativo italiano vetusto, superato, inefficace.
Però quando poi leggo articoli come questo mi rendo conto quanto la strada sia impervia, soprattutto in un contesto come il nostro, dove le scuole hanno ancora a che fare con edifici fatiscenti e la carenza di carta igienica e dove quindi parlare di iPad e adozione delle tecnologie digitali sembra davvero non fantascienza, ma pura utopia. Il suddetto articolo inoltre puntualizza la differenza che intercorre tra il semplice uso delle tecnologie in classe da una parte e dall’altra la loro integrazione nel tessuto pedagogico e didattico. Mi sono permesso di tradurre e riprodurre artigianalmente la tabella, perché è molto chiara ed eloquente:
Ora, è chiaro che si deve procedere per gradi, per piccoli passi, ma io un’integrazione di questo tipo la vedo parecchio distante, per dirla con un eufemismo. Però non voglio neppure sembrare esterofilo o fare la parte di quello che riporta sempre articoli angolosassoni per dimostrare quanto “noi” siamo indietro rispetto a loro. In verità proprio recentemente ho voluto chiedere a delle ex colleghe insegnanti che ora lavorano negli States se davvero le classi negli U.S.A. sono quella distesa di iPad in connessioni wifi velocissime e onnipresenti come sembra. Ebbene, no. Tutte e tre le insegnanti – che lavorano, faccio notare, in parti diversissime del nuovo continente e hanno cambiato spesso e volentieri stato e istituzione scolastica – hanno parlato di un uso ancora pervicace del cartaceo, di studenti che hanno addirittura sgranato gli occhi per aver usato Skype nell’insegnamento dell’italiano e insomma alla fine mi è venuto da chiedermi dove mai vengano elaborati articoli come quelli che leggo e da chi.
Per stare quindi con i piedi per terra, e terra italica, chiudo con la segnalazione di una più che lodevole iniziativa dell’editore Bruno Mondadori (qui la notizia) che sta lanciando una collana di ebook non esplicitamente destinata alla scolastica ma che secondo me non sarebbe certo un peccato vederla adoperata dagli insegnanti delle superiori. E non si preoccupino tanto che “non è nel programma”: anzi, secondo me liberare la scuola dal fardello di programmi anacronistici e troppo rigidi sarebbe un ottimo viatico per introdurre, in punta di piedi, gli ebook e intingere l’alluce della didattica nel cosiddetto testo “fluido”.
Per i tuffi carpiati bisogna attendere, ma nessun tuffatore è diventato tale restando a terra.