Forse vi è capitato, leggendo articoli in lingua inglese, di vedere nelle interviste alcune parole tra parentesi quadre. Il sistema è utilizzato dai giornalisti per far capire cosa l’intervistato intendeva anche se non l’ha esplicitato. Si tratta quasi sempre di dettagli, come un nome dove l’intervistato aveva usato un pronome, o cose così. Questo era il livello di rigore a cui io ero abituata nei paesi anglofoni, anche se scrivevo semplicemente un articolo per un giornale universitario.
In Italia, non mi risulta si faccia così: le interviste equivalgono piuttosto a telefoni senza fili tra persone distratte. Soprattutto quelle considerate poco importanti. A livello locale ho notato che i giornalisti non trascrivono quanto uno dice, ma il concetto, riproponendolo poi con parole proprie. È una cosa che non sopporto. Negli ultimi giorni mi sono trovata più volte sul giornale, e mai le parole riportate tra virgolette erano esattamente quelle che avevo pronunciato (cosa che tra l’altro, non essendoci registrazioni, non potevo nemmeno dimostrare). Il concetto, a grandi linee, c’era, ma la lingua non funziona così: dire la stessa cosa con parole diverse equivale di fatto a dire due cose diverse.
Questo atteggiamento ha dato risultati particolarmente spiacevoli proprio oggi. Il Gazzettino mi ha intervistata a proposito degli atti vandalici perpetrati da ignoti (a me, perlomeno) nel cantiere del parcheggio. Il testo dell’articolo è abbastanza fedele, anche se appunto le parole usate non sono esattamente le mie, ma il titolo non va bene. Ovviamente, il giornale ha fatto i suoi interessi di ricerca della polemica e ha evidenziato una contrarietà nei confronti dell’atto che non era quella che io avevo espresso. Quello che io volevo dire è che non so se i vandali abbiano avuto intenzioni di protesta, che non lo ritengo molto probabile, ma che se così fosse li invito a unirsi a noi e a portare avanti una lotta condivisa. Non mi sono detta “contro” gli atti vandalici, e non ricordo di aver detto, come il giornale titola, “non è così che si protesta.” Io non do lezioni di protesta a nessuno. Per inciso, non penso che commettere atti vandalici al cantiere sia giustificato, né che sia una buona idea. Penso che ci possano essere situazioni, come la val Susa, in cui la minaccia per l’ambiente e per la salute dei cittadini sia così grave, le altre strade così precluse, e la lotta così totalmente condivisa dalla popolazione, che atti di danneggiamento ai mezzi possano essere giustificati come extrema ratio e come legittima difesa, purché non attentino all’incolumità delle persone.
Il parcheggio in Piazza Primo Maggio, però, è un caso diverso. È una sciagura per la città, ma non grave come la TAV, e le forme di lotta utilizzate finora hanno dimostrato che i cittadini udinesi sono bravi a brontolare ma non disposti ad esporsi in prima persona neanche con le manifestazioni pacifiche. A nome di chi, quindi, danneggiare il cantiere? Tra l’altro i danni fatti ammontano a qualche migliaia di euro che penso saranno pagati dal comune (ma non ne sono certa), non fermano l’opera e non sono chiari come azione.
Questa è la mia opinione strettamente personale, e la giornalista è stata onesta nello scriverlo. Nel comitato ci sono sensibilità diverse e io non potevo parlare a nome di tutti. Spero che le persone capiscano anche questo distinguo, altrimenti mi sono esposta per niente. Io sono ingenua, penso che le cose vadano fatte alla luce del sole il più possibile, e così opero e parlo. Spero di non trovarmi mai in un regime in cui sarei costretta alla clandestinità, come forse sta succedendo in val Susa.
Concludo dicendo che, se per caso siete giornalisti e mi leggete, prendete in considerazione di fare quello che consiglio: scrivere esattamente quello che uno dice, e non quello che pensate o vorreste che abbia detto.