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Tema: Aillte an Mhothair - Sulla Scogliera

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Sez. In ViaggioSvolgimentoTema: Aillte an Mhothair - Sulla ScoglieraAveva contemplato in silenzio la nervatura irregolare della costa sulla strada panoramica che portava fin sopra la scogliera. Sul ciglio sinistro, il cielo digradava nel mare in tonalità di blu sempre più intenso. Mentre a destra, ondulati manti erbosi di un verde ipnotico si alternavano a distese d’erica viola in piena fioritura. Un susseguirsi infinito di muretti a secco, uno diverso dall’altro, frangeva l’esplosione di colori quasi come la cornice di un quadro impressionista. Di tanto in tanto, dei cartelli bianchi con scritte nere semi-scolorite sia in inglese che in gaelico preannunciavano l’ingresso in qualche piccolo borgo di pescatori, ormai pressoché disabitato. Era la sua prima volta. Il vento soffiava forte in direzione del mare. Raffiche salmastre di nuvole gonfie correvano senza posa all’orizzonte. Spinta dal vento, ubriaca di correnti impazzite, era carambolata a qualche metro dallo strapiombo. Folate sempre più violente le sferzavano il viso quasi impedendole di respirare. I capelli, risucchiati dalle correnti, sbattevano in tutte le direzioni come ciocche ribelli di una gorgone. Il fragore incessante del mare si mescolava al battito del suo cuore.La macchina a noleggio era parcheggiata prima della curva oltre la quale si apriva quello squarcio di infinito ululante. Ci aveva lasciato tutto quello che l’avrebbe potuta identificare: il passaporto, le carte di credito, il cellulare. Sul sedile posteriore, i libri di seconda mano appena acquistati in una libreria di Galway: Swift e Wilde in un’edizione in pelle e una confezione di immancabili biscotti Digestives. Rapida, selvaggia, bulimica. Tutto questo era lei. Anche nel distacco.

Era arrivata lì, come una turista qualsiasi. Partendo da Cork e risalendo la costa in senso orario. La sera prima si era fermata a Doolin, un piccolo porto di mare proprio di fronte alle isole Aran. Aveva preso alloggio in un cottage lungo la strada, nascosto dietro una siepe di sorbo selvatico. Imboccato un vialetto fiancheggiato da betulle e ontani, si era trovata davanti una donna di mezza età che gesticolava manovre improbabili. Indossava un grembiule a fiori sopra degli stivaloni gialli di gomma. Era appena tornata dalla legnaia con un fascio di sterpaglie. Neanche il tempo di entrare nell’ingresso tappezzato di ninnoli e moquette, che la donna le mise in mano una tazza di tè fumante. Come parlando a una specie di aliena, si mise a descrivere tutte le più tradizionali usanze irlandesi. Sembrava cantasse una specie di filastrocca e gli occhi le brillavano come braci. Aveva l’aspetto di una rustica uscita da una poesia di Yeats. Alla fine, stremata, si fece convincere e ordinò del porridge ma a patto che ci mettesse anche una goccia di whisky e della panna liquida. La donna rimase alquanto sorpresa da quella insospettata conoscenza. Allora, se apprezza le nostre usanze, deve proprio andare da O’Connor, ha il pub proprio davanti al porto. Tutti i turisti ci vanno. Preferisce la Guinness o la Murphy’s? Le trova entrambe. Io le consiglio la Smithwick's però! La provi e poi mi dirà.Dopo aver fatto una doccia tra mille acrobazie per non gelarsi visto che l’acqua calda durava pochi minuti, si vestì in fretta e decise di dirigersi in paese a piedi. Prese il sentiero dietro casa che le aveva indicato la proprietaria e si ritrovò persa in una landa molle e intrisa d’acqua. Oltre i recinti, migliaia di pecore si preparavano alla notte. Le osservò una a una. Sembravano ipnotizzate dallo stormire degli alberi o forse dalla cantilena di violini e armoniche che si sentiva in lontananza. Il gregge era tranquillo e inerme come una matassa informe in attesa di un cardatore o di un poeta in cerca di memoria. Si soffermò a scrutare l’erba nuova. Il verde dopo la mietitura aveva una forza dirompente. Il suo essere si fece incandescente. Arrivata in paese, non fece altro che seguire la scia musicale e arrivò dritta dritta al pub. Le fu servito il tradizionale Irish Stew affogato nella birra scura. Nel pub impazziva una sessione di musica folk. Era tutto più o meno o come se lo sarebbe aspettato. Il giorno dopo approdò a Inis Mor, la più grande delle isole Aran. Sembrava il luogo ideale per arrivare all’essenziale. Da quella posizione avrebbe potuto contemplare la terraferma ripercorrendo le tappe del viaggio fin lì. Per tutto il tempo non fece altro che camminare, come alla ricerca della sua ombra, percorrendo l’isola in lungo e in largo. Doppiandone i capi più volte. E prima di andarsene, ringraziò il pescatore che la costrinse a guardare le onde per ore. Per distinguerne le forme e l’intensità. Anche lei come una massa acquorea, non aveva fatto che salire e scendere dalle scogliere, sentendo tutta la gravità e la leggerezza del cuore.Ora era seduta sopra la staccionata. Proprio accanto al segnale di pericolo. Ogni anno succedevano disgrazie e qualche incauto turista precipitava nel vuoto, scivolando su millenni di animalità pietrificata.  Un rumore assordante inghiottiva ogni parola e ogni gesto. Tutto fluttuava dentro l’aria salmastra e umida. Il volo ipnotico di migliaia di uccelli dai becchi colorati accerchiava uno sperone nero di lava antica. Ricordava la testa di una donna. Sottocosta, brulicavano armate di storie dimenticate. La storiografia le aveva impiccate allo strapiombo. Rimanevano solo i nomi altisonanti di sconfitte e vittorie. Una toponomastica di menzogne. E poi quella scia di sangue e leggende. Tutto crollato dentro un’ampolla di idiomi perduti.Un ultimo pensiero la trattenne. Sentiva una nostalgia scura di torba e fango. Più volte, durante quell’approdo, aveva affondato i suoi piedi nella brughiera e ne aveva sentito il richiamo selvatico e l’odore di fossile. Dietro di lei, aleggiavano cantilene di corpi mummificati durante la Grande Carestia.  

Bea Ary

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