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Tema: Ce la faccio da solo

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Tema: Ce la faccio da soloSpazzatura e altre amenità. All’inizio le cose puzzano, ho scoperto, poi si decompongono e puzzano ancora di più. Capirai, con quaranta gradi lì fuori. Poi però piano piano la smettono. Un po’ meno. Un po’ meno tutti i giorni e alla fine diventano polvere. Ho inventato una minidiscarica. La spazzatura che mi avanza la brucio. Ce l’ ho sul terrazzo ed è solo mia. Famiglie di mosche ilari e grasse vi si danno appuntamento ogni giorno e banchettano in mio nome. Io sono il Dio delle mosche, appoggiano su di me le loro zampette tenere e pregano. Se le schiaccio ringraziano e volano subito in Paradiso. Sono morte per me. Io capisco e apprezzo.
Schiaccio le mosche e scaccio la noia. Poi le compongo sul davanzale, su un piccolo catafalco di foglia secca. E quelle volano a vedere. Il povero moscone che ha reso l’anima al loro Dio. Che poi sono io.All’inizio quello del piano di sotto protestava. E che cazzo, come gridava. Ma l’odore mica tende a scendere. Lui diceva di sì. Quella lì è l’aria fredda, cretino, casomai. Che noia gli davo? E poi mi offendeva, pure. Maiale, maiale. Si fa presto a dire maiale. Brutto pervertito che si andava a cercare le zoccole in Romania, o a Cuba, o dietro alla curva dell’Aurelia vecchia. Zoccolette tenere e grasse, gli piacevano giovani, come no. Poi si incazzava con me per un po’ di spazzatura bruciata. Ero io, il maiale. Sarà morto anche lui. E’ un po’ che non lo sento. Prima sì, faceva casino, lo scemo. Mica starnutiva. Mica si soffiava il naso. Lui barriva. Verso le due, al più tardi alle tre del mattino, emetteva i suoi strani suoni. Il cuore mi schizzava fuori dagli occhi per lo spavento. Mia moglie allora mi sbatteva una mano sulla pancia e sobbalzando chiedeva – Che c’è –- Niente – rispondevo io – niente. E’ solo lo stronzo  qui sotto. Ha di nuovo il raffreddore -
Sono immobile e fermo. Cerco di muovermi poco. Di non sprecare. Quello del piano di sotto ha emesso il suo ultimo barrito qualche settimana fa. Ha voluto darmi l’estremo saluto, a modo suo. Io ho pensato che era uno di meno. L’ultimo, praticamente.Anna invece è stata la prima.Chi ce lo aveva detto. Che ne sapevamo noi dei topi. Che prima hanno iniziato a cercare l’acqua, appena quella ha iniziato a scarseggiare, poi svelti hanno imparato a nuotare. Così bravi e veloci che hanno preso anche a cagarci dentro, mentre nuotavano. Ratti cacatori olimpionici, a rana, dorso e crawl. Ratti orinatori, perfetti tuffatori dalle piattaforme delle nostre autoclavi. L’acqua era tutta per loro.Per noi, invece, leptospirosi. All’inizio viene la febbre, violentissima e seguita da paralisi. Si soffre un po’, ma dura poco. Fulminante. Non c’è cura. Ci sarà stato un piano topesco, forse. Si saranno dati appuntamento a defecare in acqua tutti quanti tutti insieme in tutte le parti del mondo. Che ne so. Qualcuno dice l’antrace. I terroristi. Oppure topi terroristi addestrati dai terroristi che hanno sparso l’antrace. A che serve pensarci, era tardi comunque fin dall’inizio. E quando Anna è morta già morivano anche tutti gli altri. L’ ho sistemata in giardino di notte e infatti non ci ha fatto caso nessuno. I topi sì. Loro sanno tutto. E la mattina dopo lei non c’era più. Solo un buco per terra. Ho guardato il cielo, poteva essere volata via. Poi ho capito che non era possibile. Sarebbe passata di fronte alla mia finestra e l’avrei vista. Come in un quadro di Chagall. Invece l’avevano mangiata. In fondo si erano mangiati la loro stessa malattia, i fottuti merdosi, solo che a loro non li faceva per niente ammalare. Loro ingrassavano con la carne malata di mia moglie.Potevamo fare qualcosa? Fino a poco tempo fa ancora c’era uno in televisione che lo diceva. Che pareva crederci. L’ultima persona che ho visto apparire dentro al video era però una strana donna delle pulizie in vestaglietta blu, non quel giornalista. Questa aveva gli occhi di fuori, inseguiva un topo sulla scrivania con il Mocio Vileda e bestemmiava. Qualche anno fa un comico lo hanno cacciato per questo, e un cantante frocio qualche anno ancora prima. Che mica si bestemmia in televisione, perdio.
L’acqua io la odio. Se la bevo mi pare di affogare. Neanche se mi minacciano. Neanche dopo pane e prosciutto o dopo un chilo di cioccolata, io bevo. Mezzo bicchiere al giorno, al massimo, ma solo se mi costringono. Non so che farci. Ho provato ma mi strozza. Negli anni ho bevuto sempre meno, e alla fine sono riuscito a fare a modo mio. 

L’acqua è vita. Lo dicevano tutti. L’acqua è vita e pensa a chi non ce l’ ha. Ho perso un rene per questo, e l’altro ha dentro una pietra. Un macigno che ogni tanto si scuote per dirmi quanto sono imbecille. 
Sono un cretino, è vero. Sarà per questo che sono vivo.Chiuso in un appartamento all’ultimo piano di una ridente cittadina ormai disabitata, tra cumuli di viveri che comodamente trovo inscatolati al supermercato e mi porto quassù gratis, in mezzo alla puzza di me stesso, vivo. Stranamente.I topi mi guardano con indifferenza. Non mi hanno mangiato quando era il momento. Pensavo aspettassero la mia morte. Poi ho visto che il cane barbone del primo piano se lo sono portato via vivo, invece a me mi guardano e basta. Mi osservano sempre. Dalle finestre, dai buchi dei condotti di aerazione. Mentre dormo, specialmente. Li sento respirare, hanno respiri secchi da cani minuscoli e affamati.Non mi uccideranno. Hanno abbondanza e il potere sulle cose del mondo. Sull’acqua. Presidiano fontanili, fiumi, laghi, sorgive, fabbriche di minerale ormai abbandonate. Fanno la guardia e nuotano. E nuotando cagano. Il mondo è l’acquapark dei ratti, ormai. E quelli non se ne fanno proprio niente, di un boccone in più. Posso anche uscire, se voglio. Magari la sera, così riesco a dare meno nell’occhio. Sto attento a dove metto i piedi, tutto qui. Loro mi guardano da lontano. Topi grandi e piccoli, topolini e pantegane. Tutti a bocca aperta a vedermi passare. Ammiccano. Mi sembra che parlino di me. Di fronte alla mia casa ora c’è pure una specie di cartello scritto in strani caratteri. E’ tutto macchiato da quelle zampe luride. Ce l’ hanno messo loro il mese scorso.Altri animali in giro non ce ne sono, ma ieri sera mi è parso di sentire un grillo. L’ ho capito subito che era solo il suo ricordo. Io però lo sentivo. E per il ricordo del rumore di un grillo sono quasi impazzito, ieri sera. Non è bene, ma quando mi sembra di sentire questi suoni, mi prende una cosa dentro. Una cosa strana. Una voglia. Una sensazione incredibile, come voler tornare indietro. Non indietro a quando il mondo era normale, ancora più indietro, ancora prima. Cosa facevo io, nel ventre di mia madre? Probabilmente quello che faccio adesso, lo so. Mi piacerebbe solo sapere il perché.Vorrei piangere e urlare. Non posso farlo, mi si sono seccati i condotti lacrimali e la gola si è chiusa. Non ho più  nessuno con cui parlare: è per questo. L’acqua non c’entra. E’ strano vedere la luna. Quella di stasera sembra un’aspirina da sciogliere nell’acqua. E infatti contribuisce a farmi crescere la voglia. Mi prende la sete. Una sete pazzesca. Una sete morbosa di qualcosa che non esiste. Di cose umide, di odori di mammelle aspre. Cose lontanissime, per cui potrei anche barattare la vita, credo. O venire a patti con chiunque.Morire per qualcosa da succhiare. Che non mi voglia invadere.Il vino sì, lo bevevo un tempo. Ma niente acqua. Meglio.Neanche mia moglie si è mai accorta di niente. Meno male. Sono diventato bravo. Bravo davvero a non farmi vedere da nessuno.Non cedo subito. Mi controllo stringendo i pugni. E’ qualcosa che devo meritare, da raggiungere con sofferenza. Non mi ci posso abbandonare subito. Spingo il diaframma verso l’alto. Punto la lingua sul palato, poi verso il fondo della gola, dove c’è una ghiandola dolciastra a sfregarla. Mi calmo per qualche minuto cercando di toccare con la punta della lingua quel luogo umido e dolce aspro. Mi concentro sul quadratino di mucosa che le papille accarezzano per perdere tempo. I miei sensi si fissano tutti su quel punto preciso e imprecisato. E attendono fintanto che possono.Tutti hanno un segreto. Una voglia.Grazie a quella sono vivo.Spesso cedo. Adesso molto velocemente, non ho più voglia di troppi preliminari. E quando finalmente succede inizio a correre. Lascio qualsiasi occupazione. La mia lingua non c’è più, e neanche la ghiandola in fondo alla gola. Niente che possa distrarmi. Niente. Ci siamo solo io e la sete. Io, la sete e la voglia di arrivare per poterlo finalmente fare.Bevo la mia urina. Salata. Rassicurante. Pulita e sicura. La metto in un bicchiere e poi la butto giù. 
Molto meglio dell’acqua, se è per questo.
Roberta Lepri

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