I miei vicini di casa sono pronti da una settimana e io ogni anno mi ritrovo a fare opera di convincimento con le damine di Capodimonte e i cigni di cristallo di Boemia, li scuoto dal torpore della polvere e dalla comodità languida dei loro centrini di merletto. Devono farsi da parte per un periodo breve, che abbiano pazienza, alla fine li ripagherò con una spruzzata di vetril e una strusciata di panno morbido.
Di solito, dopo il discorso del vetril, la trattativa si risolve al meglio, ma c’è sempre qualcuno di loro che si lamenta e millanta diritti di prelazione. La principessa di porcellana non sopporta di cedere il suo posto alla madonna, né i cigni flessuosi alle papere o peggio ancora alle pecore, ma non ci sono santi, ormai è deciso, devono sloggiare: dicembre dura solo un mese e i re magi sono in viaggio con i loro cammelli di plastica stampata.
Il presepe lo preparo sul tavolino laterale della sala da pranzo, quello piccolo a mezzaluna con le gambe tornite. Nel mio presepe tutti i personaggi e gli animali e gli oggetti inanimati convergono in corteo verso la capannina, fanno a gara con la stella cometa a chi arriva prima, è un elenco lungo di gente di ogni estrazione sociale, spesso bigotti che lo fanno solo per mettersi in mostra, gli animali, le pecore ad esempio, si vede che non sono interessate, molte di loro tengono la testa bassa a brucare il piano del tavolino, sono bestie ottuse.
Un laghetto di carta d’alluminio raccoglie per finta l’acqua finta che sgorga pochi centimetri sopra, dalla fessura tra gli elementi del termosifone, esce già calda, si può regolare la temperatura alla fonte. Il corso d’acqua scende lungo la parete di roccia di carta in una cascata graziosa che si dirige verso la capannina, poi la carta d’alluminio è ritagliata in una forma tonda, e questo è il laghetto del presepe, sulla cui superficie galleggiano per finta anatre oche e pecore piccole, non agnelli, pecore fuori scala, che non c’era posto per loro nel gregge sul vialetto d’accesso, qualcuno le avrebbe schiacciate. Lo steccato che delimita il vialetto è orientato in modo tale da accompagnare i visitatori verso l’ingresso, è uno strumento topografico utile per chi proviene da paesi lontani e non conosce la strada.
Tutti si affollano, fanno ressa davanti alla capannina, al suo interno c’è la frenesia pre-parto, si capisce che tutto quell’ affollarsi non è gradito. Giuseppe gira in circolo, nervoso, cerca di trovare qualcuno che porti acqua calda e bende pulite, l’ha visto fare nei film western, è l’unica esperienza che ha sul parto, in compenso non ha nessuna esperienza sul concepimento. Maria si sente a disagio, osservata da tutta quella gente in un momento così intimo, ma non lo dà a vedere, finge di raccogliersi in preghiera, dio solo sa come si sente, le contrazioni che si fanno sempre più frequenti e dolorose, e la folla che si è raccolta sulla soglia non l’aiuta a rilassarsi.
Si sente un brusìo di esse sussurrate sullo sfondo e il fastidio è amplificato dalle lucine led a intermittenza, di vari colori cinesi alternati.
L’asino incrocia lo sguardo di Giuseppe, che già medita il suo piano da un paio di giorni, l’occasione giusta è l’ora di pranzo della vigilia, Giuseppe ha preparato tutto nei ritagli di tempo, ci ha messo un po’ a pensarci, non uno stratega ma è un semplice artigiano, uomo concreto e pratico. Carezza sulla testa il bue placido che rumina per finta il suo fieno finto, imbriglia l’asino, aiuta Maria a salire con molta difficoltà, dà un’occhiata intorno, i pastorelli sono intenti a consumare il loro pane casereccio, le pecore brucano il tavolo, altre figure sono appartate a fare due chiacchiere e fumare una sigaretta, due cani da pastore annusano le papere finte con le zampe dentro il laghetto argentato.
Escono dal retro, che si affaccia direttamente a strapiombo sul bordo del tavolino, avanzano con cautela, è solo questione di far piano e prudenti, niente movimenti bruschi, a scendere però li aiuto io.
Una volta arrivati sul pavimento della sala da pranzo, dopo una piccola pausa di orientamento, s’incamminano lungo la fuga delle piastrelle di ceramica. Non ho visto bene dove si sono diretti.
Raimondo Quagliana