Magazine Diario personale
Devono averlo stampato negli anni sessanta; ho sentito il tonfo mentre tiravo fuori una bracciata di libri dallo scaffale sulla scrivania.
Dal buco di una serratura mi fissa un occhio, lo sguardo viene su dal pavimento e sembra perfino alzarmi la gonna sulle gambe.
“Immagine vecchia e inefficace” direbbe oggi qualche grafico moderno e invece l’effetto è ancora quello che il grafico di allora deve avere immaginato.
Ha la copertina gialla, ma l’occhio mi ha messo a disagio e faccio fatica a focalizzare il titolo, è scritto in nero, sopra una riga rossa; riconosco appena i caratteri di una vecchia macchina da scrivere, nient’altro.
L’occhio e la serratura sono racchiusi dentro un cerchio. Immagino una verità che rimane senza via d’uscita, senza scelta. Il grafico ha centrato in pieno tutto quanto.
Uno sguardo lungo quarant’anni che finalmente è penetrato in milioni di esistenze.
Alzo una spalla fino a strofinarmi l’orecchio, quasi a volere allontanare un sussurro, un sibilo, qualcosa d’incorporeo e presente. Il mio respiro ha mille respiri, sono sola, ma sono sicura di sbagliarmi.
Ho firmato quintali di carta per difendere la mia privacy, ma come quest’occhio ho voglia di entrare nella vita di tutti!
Qualcuno ha fatto lo stesso con la mia.
Vuole sapere. Vuole carpire. Vuole rubare.
Ha bisogno di impadronirsi delle mie sembianze, dei miei pensieri, delle mie ricette di cucina. Mi si è ficcato perfino dentro il pc.
Il grafico è diventato regista e pendo dalle sue labbra o meglio dal suo occhio, avido come quello di un falco lodolaio.
Oggi io sono il milione di esistenze e sono l’occhio che in esso è penetrato. M’infilo nei letti degli sconosciuti, nelle loro stanze da bagno e divento il loro accusatore. Bramoso di sapere, carpire, rubare.
Vivo di gossip
Poi… sfido l’occhio: «Guarda, guarda, guarda pure, tanto io so gestire bene la mia anima e le sue parole. Ti mostrerò di me ciò che voglio e sarò ciò che vorrò farti credere.»
Un tempo confidavo sentimenti, paure ed eccitazioni usando una penna spudorata, al mio diario, tempio inviolabile e inviolato.
Oggi, invece, ho bisogno di scavare fino allo spasimo dentro immagini che mi mettono in bocca parole mai dette e nel petto sentimenti mai provati; è tutto un esibirmi per scandalizzare, affinché la mia presenza non passi inosservata.
Spero di essere spiato perché la mia vita possa diventare “storia”; cerco di spiare per vivere la storia che manca alla mia vita.
Ecco il regista, lo vedo dovunque, soprattutto in Tv. Possiede una telecamera alla quale meticolosamente pulisco il vetro per venire bene nell’inquadratura. Una telecamera che rimane occhio. Occhio che dalla mia carne tirerà fuori lo scheletro, dalla mia coscienza il pensiero cattivo e prima che la ripresa sia finita, avrà dato in pasto la mia vita agli avventori del momento.
Bocche piene delle mie disgrazie, bocche piene delle mie debolezze. Bocche piene piene. Non so nemmeno come io abbia fatto, ma sono già una notizia del tg delle 20,00.
A questo punto, forse, sarà meglio urlare a squarcia gola per far sapere chi io veramente sia! Urlerò che ho un sano equilibrio, aspiro alla pace interiore e sono pervasa da pensieri votati all’altruismo. «IMPORTA A QUALCUNO?» … e l’eco mi restituisce un “No!” che riempie il mondo.
Davanti e dietro lo stesso occhio sono ormai incapace di essere quanto di vedere, mastico immagini e parole per elevarmi a giudice supremo.
Fuori dal tondo di quella copertina … nessuno.
Per sapere chi sono, chi siamo, chi non saremo mai più, c’è una sola verità, insindacabile, già racchiusa nel cerchio che contiene l’occhio.
E’ da questa copertina ch’è cominciato tutto?Il privato è un muro di cinta divelto. Suonano alla porta, ho appena messo a fuoco il titolo del libro “Il gioco maledetto”. Lo spingo sul dorso, lo spingo con forza, ma non riesco più a farlo rientrare e sparire tra gli altri miei libri. Adelaide J. Pellitteri
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