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Tema: M.M.I., ovvero prospettive ezioPATOgenetiche sulla mascolinità

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SvolgimentoTema: M.M.I., ovvero prospettive ezioPATOgenetiche sulla mascolinitàPartiamo da un necessario presupposto.Lo sviluppo individuale dell’M.M.I. (Maschio Medio Italiota) è determinato dal ruolo sessuale che la cultura si aspetta che lui assuma: uomo beaudelairiano medio, berlusconiano medio o tariconiano medio – pace all’alma sua – a seconda dell’estrazione sociale, ma in ogni caso tutto muscoli o cervello, ego, pene et Ego. (Ops, tautologia).Che poi l’M.M.I. sia full optional, con accessori chic come la smart o gli occhiali a montatura spessa e nera che vanno di moda oggi o una reflex-prolungamento del suo fallo o ancora solo un’affascinante borsetta post-sessantottina… beh, questo è opinabile.Ciò che conta è che egli trovi un modo per sedimentare e rigonfiare non solo ciò che ha in mezzo alle gambe, ma anche ciò che crede di avere dentro il cervello.Ed è ancora una volta opinabile che per farlo egli sfoderi:a) un fascino che ammazza le lumache in inverno;b) un cervellone da narciso einsteniano;c) il solo ben celato desiderio di comandarti senza che possieda nessuna particolare dote per farlo.Perché in ogni caso, purtroppo, è questo che lui, per cultura, sarà tendente a fare, sentendosi tremendamente umiliato se tu-donna hai più amici, se tu per caso lavori e lui no (o se, malauguratamente, guadagni più di lui), se parli più di lui, se tu sei più puntuale, organizzata e responsabile di lui, o se – per tua sfortuna – hai più 30 di lui nel libretto. Maledetta vulva.
Ma partiamo dalle origini del male.
Poiché il piccolo maschio nasce per essere il futuro, potente, pater familias del (suo) mondo, è necessario che egli, dopo essere stato nutricato a dovere dalla madre di famiglia…1. Si separi dal suo oggetto d’amore primario, che (nonostante la forte tentazione di chiamare calcio, pc o pene) è con tutta probabilità la mamma;2. “Uccida dentro di sé la madre”, ovvero neghi la sua primaria identificazione d’amore con lei (= Vade Retro Satan-donna!);3. Disconosca gli aspetti sensibili della propria personalità (giacché non sono concesse sensibilità “femminee” ai maschi; che fa, scherzi?).MA, per poterlo fare, la società patriarcale richiede al piccolo maschietto un grande sacrificio: quello di vedere la madre come cattiva, senza meriti o pericolosa. Altrimenti giammai egli rinunzierebbe alla sua primaria fonte di amore e cibo.…Non siamo ingenui però.Non è che u masculu non si pistierà più la salsa fresca della mamma. Intendiamoci. Semplicemente l’artista della salsa fresca e dei letti rifatti non sarà più semplicemente “La mamma”, ma “Quella stronza di mia madre”; ecco, prendiamo le distanze.Insomma, a un certo punto la mammà diventa un’arpia: il piccinello del suo cor smetterà di darle baci, abbracci & caramelle appiccicaticce e inizierà a vederla come una fonte di invadenza e odiosità; che poi mammà lo sia veramente o meno è tutta n’atra storia.Sta di fatto che, secondo questa bella storiella, i maschi diventano “uomini” a spese dell’altro-femmina: la mascolinità è conquistata con l’uso di difese psicologiche culturalmente convalidate che rendono socialmente INdesiderabile l’identificazione con la madre, col risultato (e questo voi maschietti non potevate prevederlo!) di un impoverimento del Viril-Sé, delle sue capacità relazionali, coartate dalla rinunzia che il patriarcato gli impone inconsciamente ma vigorosamente, e di un aumento della sua insicurezza.
A ciò si aggiunge un altro risultato della negazione culturale della femminilità: un profondo terrore delle donne (soprattutto di quelle più indipendenti che insidiano il suo potere), che l’uomo spesso invidia ed odia.Potremmo dunque azzardare che, nella società patriarcale, il Sé del maschio conta su questa disumanizzazione primaria dell’altrA per sopravvivere, ma che la trasformazione della “mamma” in “stronza” è solo l’epigono antropologico dell’opera d’arte che questa società ci ha appioppato.Il vol. 2, 3 o 7 della sinfonia sta nella proiezione dell’odio in chiunque rappresenti ‘sta fantomatica mamma da odi et amo: e daje con le zite intollerabili, e daje col fatto che le donne non possono capire, e daje con il festival dell’egoismo col pacco. Daje anche con la diffusa usanza di detestare/maltrattare più o meno sommessamente quelle cose inutili di certe FEMMINE (e per la precisione quelle che non ti assecondano o che non ti adulano a sufficienza) per sentirsi veramente MASCULI, LIBERI e INDIPENDENTI.Infine, per completare questo quadro tristemente espressionista, estendiamo al mondo l’odio-da-insoddisfazione primaria: daje anche con tutti coloro che sono diversi da me, perché buono è solo l’omologo, no?Detto fatto: Froci di merda, Neri del cazzo e Terroni sanguisughe.Il penedotato, dunque, apprende in fasce, spalleggiato dal sistema patriarcale, a sottolineare a muso duro la disuguaglianza uomo-donna/sé-diverso-da-sé e attacca le “disadattive” caratteristiche dell’Altr* socialmente inferiore alfine di rinforzare il suo Sé.Et voilà: eccovi la ricetta del perfetto M.M.I. brevettata da Silvio e soci negli anni ’90, ma con degni antecedenti e ispiratori fin dalla notte dei tempi.Sarà vero poi che “IL maschio e LA femmina” non esistono, che sono una costruzione sociale, che “si nasce liberi a prescindere da quello che si ha, per caso, in mezzo alle gambe”, che ci stiamo prendendo questa libertà, altrimenti forse saremmo fuori dall’Europa.Ma questa razionalizzazione buonista non è quello che ci hanno inoculato fin dalle viscere con le “odierne”, “vetuste”, pratiche di allevamento.Sarà per questo che ai colloqui alle donne richiedono bella presenza anche se devono parlare al telefono.E sarà per questo che la fonte primaria di libertà di una D.M.I. (Donna Media Italiota) è, a seconda dell’estrazione sociale, essere la Perpetua di un uomo (in fondo il masochismo è l’altra complementarissima faccia del patriarcalismo: quella di un Sé femminile definito in relazione ai bisogni del Sé maschile) o vantarsi di essere un Donn’uomo e fare di tutto per divenire effettivamente un Donn’uomo.Se dunque esistesse quell’orribile cosa che chiamano “gene egoista” (che noi crediamo non sia affatto un gene, ma semmai una cultura illuso-geneticamente egoista), beh… nella moderna Patriarcal’Italia del 3° millennio questo fantomatico “gene” purtroppo potrebbe avere solo il cazzo. O al massimo un dildo strap-on.E non ve la prendete.In fondo, questo è solo un punto di vista.
N.B.: Morin diceva che la conoscenza è il mezzo per costruire un pensiero complesso, quindi prendiamo atto di queste costruzioni mentali che ci infilano nel cervello fin dal concepimento e usiamo questo provocatorio “atto di mente” per destrutturarle.
Fonte:Felicity De Zulueta, “Dal dolore alla violenza. Le origini traumatiche dell’aggressività”, Cortina, 2009.
Noemi Venturella
da abattoir.it - Voci dal macello

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