“Con riferimento alle vicende degli ultimi anni, parlate delle difficoltà in mezzo alle quali si è svolta la vostra carriera e dite in che modo avreste voluto potervi meglio preparare alla vostra futura attività professionale”
SVOLGIMENTO
Devo confessare di essere maturato precocemente, in mezzo ai dolori, a causa degli orribili misfatti che ho visto. Alla mia generazione rimane infatti il rimpianto di non avere goduto una fanciullezza serena, come sarebbe stato naturale.
Fino ai dieci anni ho trascorso dei giorni lieti insieme ai miei genitori e ai miei due fratelli più grandi, nati rispettivamente nel 1922 e nel 1926.
La nostra tranquilla esistenza si interruppe un giorno di giugno del 1940.
Ci fu un certo discorso alla radio che entusiasmò tutti quanti, all’infuori di mia madre. Infatti, subito dopo quel discorso, mio fratello Carmelo, quello più grande, venne chiamato alle armi. Era scoppiata la guerra, così, all’improvviso. Mia mamma diveniva sempre più triste, mano a mano che passavano i giorni. A ottobre, rientrando a scuola dalle vacanze, non ritrovai più il mio caro maestro, ma una maestrina incaricata di svolgerci un programma di emergenza.
Fu un inverno molto duro e freddo: a scuola, come a casa, mancava la legna per le stufe e cominciarono le restrizioni di tutti i generi di consumo. Le cose peggiorarono l’anno successivo, quando venni iscritto alla scuola media: di fronte alle cose che accadevano nel mondo, la scuola finì all’ultimo posto.
Bisogna riconoscere che molti insegnanti facevano di tutto per dedicarsi alla nostra istruzione, ma era davvero difficile dimenticare le preoccupazioni e i pericoli che incombevano su tutti noi, unitamente al pensiero degli approvvigionamenti e ai lutti.
Dopo l’estate del ’43, quando già eravamo stremati dagli affanni della guerra, un barlume di luce parve illuminare le nostre speranze di pace.
L’8 settembre la radio diffuse la notizia della firma dell’Armistizio, ma in casa mia le cose, purtroppo, peggiorarono. Infatti, mentre mio fratello Carmelo, in quanto appartenente all’Esercito Regolare Regio ci confermava che in seguito all’Armistizio i nuovi amici dell’Italia erano gli Alleati, l’altro mio fratello, Ninì, partì all’improvviso, lasciandoci tutti nella costernazione. Con una sua lettera, ai primi di ottobre di quel disgraziato 1943, ci informava di essersi arruolato volontario nell’esercito della Repubblica di Salò che, capeggiata dal Duce Benito Mussolini, era rimasta alleata dei Tedeschi.
Per mia madre e per noi tutti fu il colpo di grazia. Certo, nella mia povera, piccola testa non restava tanto spazio per gli studi. Nella nostra avventurosa e incosciente in- genuità, soprattutto tra coetanei e compagni di scuola, ci chiedevamo con chi ci saremmo schierati al momento della chiamata alle armi.
Io, poi, ero ancor più dibattuto dei miei compagni: sarei stato per il Re, come Carmelo? O con il Duce, come Ninì?
Mio padre mi tacitava nervosamente: “Che pensassi a studiare! E basta!”
Mia madre, a volte, senza un apparente motivo, mi stringeva convulsamente al petto: ed io capivo che aveva paura, anche per me. E ancor più mi strinse a sé, tra lacrime di indicibile dolore e disperata rassegnazione, quando giunse la notizia che i miei due fratelli erano entrambi morti.
Nessuno ci spiegò mai come, ma io, nella mia allucinata fantasia, immaginavo che si fossero sparati, dai fronti contrapposti, senza neppure riconoscersi.
Poi, nel 1945, la guerra finì, anche se non finirono le nostre sofferenze. Io intanto stavo per completare il mio secondo anno all’Istituto Tecnico.
Certo che sento il rimpianto di non avere potuto studiare come avrei dovuto e voluto. Se guardo indietro non è però quello il rimpianto più grande: penso ai miei due fratelli, alle sofferenze e ai lutti di tutti gli Italiani per le ferite della guerra. Poco danno sarebbe il non conoscere le declinazioni del latino o essermi dimenticato qualcuno dei trenta e passa Imperatori di Roma! Ma, se guardo avanti, penso che almeno oggi ho la speranza di un futuro e ciò che ho perso in conoscenze di scuola, l’ho purtroppo imparato in esperienze di vita.
Spero perciò, concludendo, di essere all’altezza del grande compito che ci aspetta: quello di ricostruire un’Italia di nuovo forte e di nuovo unita nella pace e nel progresso.