Dedico questo post alla mia amica Annalisa, di professione libraia, come piccolo pensiero per il suo compleanno, che era ieri.
Ho vissuto il periodo di queste elezioni politiche con un’ansia particolare, culminata lunedì pomeriggio, alla chiusura dei seggi. Quel fatidico giorno ho cercato di sbrigare tutte le cose più urgenti in mattinata, ho mandato l’ultima email alle 15.18 e poi, come penso ogni italiano dotato di computer, mi sono collegata con i vari siti di informazione per seguire l’esito di questa direi storica tornata elettorale. E così è iniziata una danza frenetica e sincopata di sondaggi, proiezioni, exit poll, instant poll, previsioni di esperti, opinioni di opinionisti, e chi più ne ha più ne metta. Mi sono presto persa e ubriacata di quei numeri, di quelle percentuali, che ogni minuto paventavano scenari diversi. Per poco non ho perso il treno, presa com’ero dalle ultime notizie. Sul treno poi, subito mi sono collegata con il cellulare, come me hanno fatto molti miei compagni di viaggio. Sono andata a dormire appena ho visto che ormai i risultati sembravano stabilizzati, sfinita.
Martedì mi sono svegliata di cattivo umore, non mi aspettavo un esito del genere e sono rimasta decisamente delusa. Speravo che, rituffandomi nei problemi della quotidianità, mi sarebbe un po’ passata, ma non è andata proprio così. Sul treno sembrava di essere al mercato, il silenzio di ieri pomeriggio, carico di tensione e aspettative fiduciose, ormai era dimenticato. Tutti avevano da commentare, chi era contento, chi deluso, chi sorpreso. Tutti parlavano con una sicurezza e una consapevolezza notevole, “…tanto lo sapevo io che andava a finire così”, tutti sapevano cosa avrebbe fatto Bersani, cosa gli avrebbe risposto Grillo, le reazioni di Berlusconi. Come se fossero dei conoscenti, dei familiari. Che dire, beati loro, io proprio non lo sapevo che cosa sarebbe successo, chi si sarebbe alleato con chi, chi avrebbe mandato a quel paese chi altro e così via, e la cosa mi preoccupava abbastanza. Per la strada, parole come “alleanze”, “inciuci”, “rivoluzione”, “tutti a casa”, “così imparano” ecc. mi inseguivano. Al lavoro, di nuovo, un continuo discutere di politica. Sono andata a pranzo da sola, per riprendere un po’ fiato, ma, al tavolo accanto, un gruppetto di impiegati pontificava l’impresa di Grillo. Ho mangiato in fretta un pezzetto di pizza malamente riscaldato, che mi è rimasto sullo stomaco, e sono uscita. Entrata in un bar per un caffè, ho interrotto il barista dalla sua dotta dissertazione sugli errori di comunicazione del centrosinistra. Tutti a parlare, parlare, parlare, parlare, parlare, parlare…
Basta! Non ne potevo più! Avrei voluto mettermi a urlare, magari proprio lì, in quel bar, all’improvviso, ma probabilmente la gente mi avrebbe gridato “Oh, che ti cheti? Dobbiamo parlare di politica, noi!”
Uscita di nuovo all’aria aperta e avendo ancora un po’ di tempo, sono andata a cercare un rifugio da tutto questo rumore assordante. E l’ho trovato, come spesso mi succede, in una libreria. Non c’era quasi nessuno, solo i commessi, ma erano impegnati a rimettere a posto dei volumi e non si sono curati di me. Finalmente, sola, lontano anche dai miei pensieri foschi, mi sono ripresa. Ho letto con calma i titoli sulle costole dei volumi ordinati sullo scaffale, ne ho presi alcuni, li ho aperti, sfogliati, ho letto qualche frase qua e là. Mi sono gustata con calma quei minuti di pace che finalmente ero riuscita a trovare.
Non so se gli psicologi hanno mai preso in considerazione la frequentazione di biblioteche e librerie come terapia contro l’ansia. Su di me ha veramente un effetto benefico, ma forse solo perché amo tanto i libri…
“Ho scoperto prestissimo che i migliori compagni di viaggio sono i libri: parlano quando si ha bisogno, tacciono quando si vuole silenzio. Fanno compagnia senza essere invadenti. Danno moltissimo, senza chiedere nulla.”
Mi è venuta in mente proprio questa frase di Tiziano Terzani, ieri, nella libreria. Al contrario dei politici, che sbraitano alla televisione e della gente che fa loro cassa di risonanza ripetendo come pappagalli le frasi, soprattutto quelle scioccanti, i libri ti parlano solo se li interpelli, e lo fanno in modo discreto e silenzioso.
Sono uscita più sollevata, con meno pensieri per la testa e un libro in più in borsa.
Neanche a farlo apposta, si trattava di “Tempi difficili” di Dickens.