Lo so. Sono fortunato. Ma non temete, ho anch’io le mie rogne. Tanto per cominciare non rischio certo di diventare ricco nei prossimi dieci anni – facciamo pure cinquanta, sempre che non trovo per strada un biglietto vincente della lotteria – o di arrivare a percepire una qualche pensione in vecchiaia, mito inarrivabile per noi popolo di precari. Inoltre sono più le sere che passo a scrivere e correggere articoli al computer di quelle che trascorro facendo baldoria. Eppure io e la baldoria siamo vecchi amici, peccato che con gli anni le strade si dividano…
Però ormai agosto è alle porte e io mi sono ripromesso di trascorrere almeno qualche mezza giornata ogni tanto in spiaggia, cullato dal rumore delle onde e del vento tra le pinete. Visto che non amo fare la lucertola sotto il sole, per me spiaggia significa essenzialmente due cose: ragazze in costume e letture. Ovviamente più la seconda, nonostante i miei patetici tentativi di ribaltare gli equilibri.
Tra la mia piccola libreria portatile – rigorosamente cartacea… odio la letteratura digitale – quest’anno avevo un libro in particolare che speravo mi avrebbe tenuto compagnia, invece l’ho consumato in poche settimane: “The Arabs – A History”, di Eugene Rogan, una biografia aspra e graffiante del popolo arabo, delle sue speranze e delle sue tragedie, comprensiva di una devastante analisi critica dei macelli compiuti dai nostri governi civilizzati in nome della democrazia e di ovvi interessi economici. Così mi sono messo alla ricerca di nuove ispirazioni strada facendo.
Al festival del libro di Palermo mi sono buttato nell’editoria indipendente, con titoli insoliti e autori pressoché sconosciuti, e mi sono ritrovato per le mani tre volumetti intriganti. “E morirono tutti felici e contenti”, a cura di Massimo Avenali, è una raccolta di fiabe riproposte in chiave moderna, alcune esilaranti, altre struggenti e impietose. Io ho un debole per le fiabe, sono il mito moderno che risponde alle nostre domande più ancestrali: chi siamo, dove andiamo, quanto molliche di pane ci vogliono per uscire indenni da una foresta intricata…
Il secondo libro che ho comprato a Palermo è “Pippo Fava – Lo spirito di un giornale”, di Luigi Politano e Luca Ferrara, la biografia a fumetti di un grandissimo giornalista siciliano che a Catania ha fatto incazzare praticamente chiunque perché aveva questa “assurda” convinzione che la stampa dovesse raccontare la verità, soprattutto se scomoda e indesiderata. Gli hanno sparato in faccia mentre era in macchina per andare a vedere il saggio di teatro della figlioletta adolescente, mica io che parlo di tette e culi in spiaggia…
Infine ho comprato “La bomba e la Gina – Intorno a piazza
Fontana”, di Marco Codebò, che però non ho ancora letto. L’ho preso perché mi sembra un’analisi originale e intelligente della strage – 17 morti e 88 feriti – che culminò con la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, “precipitato” dal quarto piano della questura durante un interrogatorio. L’anno successivo Sandro Pertini, allora presidente della Camera, si rifiutò di stringere la mano al questore Marcello Guida durante una sua visita a Milano. Nel 1975 la sentenza D’Ambrosio dichiarò che Pinelli era precipitato a causa di un malore. Nel 2005, dopo 36 anni di inchieste, il processo sulla strage si concluse senza la condanna definitiva di alcun colpevole e i familiari delle vittime della strage furono condannati al pagamento delle spese processuali. Nel corso di quegli anni innumerevoli giornalisti e intellettuali, compresi Pier Paolo Pasolini e Adriano Sofri, scrissero analizzando i fatti di cui erano stati testimoni, delineando un complotto tra forze di estrema destra e servizi segreti italiani inteso alla destabilizzazione del Paese. Eppure quando nel 2006 un sondaggio interpellò gli studenti delle superiori di Milano, solo il 58 per cento aveva sentito parlare della strage, il 42 per cento la attribuiva alle Brigate Rosse, il 39 alla mafia, il 22 agli anarchici, il 18,6 ai fascisti, il 4,3 ai servizi segreti. Insomma, una lettura intensa.Devo ammettere che durante la mia visita ad Alviano, quella mia dolcissima e bravissima amica che si è fatta carico della mia presenza mi ha regalato il volume “Barolomeo D’Alviano – La storia la vita le battaglie” di Giacobbe Tardani, che io non ho ancora avuto il coraggio di leggere nonostante sia sicuro che vi troverò una storia interessante, se non altro perché l’autore è un esordiente che scrive per passione e non per calcolo. Eppure mi sembra che mi manchi ancora qualcosa di importante per sopportare le risposte indifferenti delle ragazze in spiaggia mentre spolvererò tutte le mie tattiche di approccio che non hanno mai funzionato negli ultimi vent’anni e quindi perché dovrebbero cominciare a farlo ora. Così ho spulciato un po’ le classifiche pubblicate in rete e ho preso nota di un paio di titoli.
Uno di questi è “Manuale dell’imperfetto viaggiatore”, di Beppe Severgnini. Ammetto che a intrigarmi è stato soprattuto il titolo, ma apprezzo molto anche l’autore, che ho sempre considerato una voce ironica e pungente della scena intellettuale nazionale, oltre che un grande viaggiatore. “Eravamo turisti. Siamo diventati viaggiatori. Imperfetti, ma viaggiatori”, dice Severgnini nella sua introduzione, prima di buttarsi nell’analisi di questa categoria umana così confusa e disordinata, piena di buone intenzioni ma con una lista infinita di difetti.
Poi ho adocchiato “Leviatano – Ovvero la balene”, di Philip Hoare. Mi è sembrato interessante perché analizza uno degli animali simbolo dell’immaginario umano, la balena, al centro di vicende mitologiche a partire dalla Bibbia. Forse è ancora il fascino delle favole a chiamarmi, ma questi enormi cetacei potrebbero meritare la mia attenzione. Hoare conduce il lettore attraverso spiegazioni, racconti, riflessioni e un attento studio della letteratura e dei dati scientifici, fino ad arrivare nelle Azzorre per nuotare al loro fianco e sentire l’eco delle loro voci risuonare nel suo torace. Sentendole cantare, l’autore capisce che la sua è una presenza acconsentita, forestiero nelle acque di cui solo le balene sono padrone.
Ora se mi avete seguito nei miei deliri fin qui, non vi resta che darmi qualche consiglio su altre possibili letture. O forse preferite sbattermi in faccia quanto siano ridicole le mie scelte letterarie? Liberi di farlo, ma vi avverto che se sbeffeggiate i libri che amo nel prossimo articolo vi presento una dissertazione di 8000 parole sui classici ucraini del periodo zarista. Vedete voi.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.
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