Per l’8 marzo, non vogliamo mimose, non ne abbiamo mai volute.
Se però dobbiamo essere precise, qualche desiderio lo avremmo. Lo abbiamo tutto l’anno.
Non comprende fiori.
Le ricorrenze non ci piacciono, tanto più quando da commemorazioni di tragedia e simbolo di lotta si trasformano in bieca operazione di marketing, ma ignorarle sarebbe ancora peggio, perchè non possiamo non notare il proliferare di spogliarelli per la notte delle donne e pubblicità di fiorai che vogliono venderci questa giornata come un nuovo San Valentino, mentre ovunque si diffonde una cultura in cui le donne sono spinte ad avere paura di girare da sole di notte o sembrano sfigate se non hanno un uomo che gli regali qualcosa.
L’8 marzo sarà per noi quindi solo un altro giorno per ribadire le necessità per cui lottiamo tutto l’anno.
Contro la violenza sulle donne, declinata non solo come violenza fisica e sessuale, ma come quella che viviamo ogni giorno tra le discriminazioni e i soprusi sul lavoro, a casa, a scuola, per strada, nelle relazioni sentimentali e sessuali.
Così, sentiamo di voler lanciare un bouquet di rivendicazioni, quelle che sentiamo più urgenti in questo momento.
Tenetevi le mimose…
…vogliamo vivere i nostri desideri, per essere libere di amare chi vogliamo e nel modo che ci eccita di più.
Proliferano sul web e tra i media gli inviti a partecipare a folli notti erotiche in occasione dell’ 8 marzo, quando alle donne verrebbe concesso di imitare il rito collettivo dell’eccitazione maschile da strip bar.
Alle donne quindi è concesso il divertimento erotico una volta all’anno, ma soprattutto la presunta libertà sessuale delle donne deve essere normata e modellata su quella maschile eterosessuale.
Insomma, per tutto l’anno viviamo immerse tra gelosie e repressione, poi un giorno, sommerse di mimose possiamo ammirare i corpi unti e plastificati di aitanti spogliarellisti, ma dare voce ai veri desideri dei nostri corpi… quello no.
…vogliamo liberarci dagli stereotipi!
L’immagine delle donne tra i media e nella concezione comune è sempre più omologata a un modello non realistico, influenzato dalle modifiche artificiali dei programmi di elaborazione grafica e fotoritocco.
La pubblicità e le aziende dell’industria della moda, della cura estetica e cosmetica traggono dalla creazione del bisogno indotto di rispecchiare quel canone la principale fonte di profitto, lucrando sulla crescente mancanza di autostima delle donne, che si rispecchia nella frequente colpevolizzazione e nella subordinazione a cui le donne si condannano anche da sole.
…voglamo la parità salariale.
Secondo l’ISTAT, il divario salariale tra uomini e donne in Italia è ancora circa al 20%.
Nonostante le donne percentualmente raggiungano un grado di educazione più alto, questo non è di alcun aiuto nella realizzazione professionale della massa femminile. Apparentemente le donne oggi sono quindi libere di lavorare, in pratica però ci sono molte concause che ne fanno una libertà illusoria e che ancora nel 2013 conferiscono al “lavoro” il ruolo di uno dei pochi spazi di tentata emancipazione e liberazione femminile.
Tra le cause della disparità salariale è da annotare la grande diffusione del part time tra le donne lavoratrici, che ovviamente prevede avanzamenti di carriera e di stipendio inferiori del full time: la scelta del lavoro a tempo parziale è obbligata per molte donne che si ritrovano a dover anche provvedere da sole o quasi ai lavori di cura e gestione della casa e della famiglia.
Tra le cause della disparità lavorativa, c’è però soprattutto la “segregazione occupazionale“, ovvero la condizione socio-culturale che impone alle donne l’occupazione in settori che prevedono stipendi inferiori agli ambiti considerati “maschili” e più bassi inquadramenti contrattuali.
…vogliamo decidere sui nostri corpi!
Tra leggi regionali per lo smantellamento dei consultori pubblici e continui attacchi da parte cattolica alla legge 194, ancora oggi è imprtante lottare per la difesa dei diritti alla salute delle donne e all’autodeterminazione delle scelte. Crediamo che sia fondamentale ribadire la totale autonomia e indipendenza delle donne nel decidere della propria vita e della propria maternità.
Senza escludere la necessità di miglioramenti alla legge sull’interruzione di gravidanza, in direzione di minore criminalizzazione delle donne che decidono di abortire, è però ancora necessario tutelare i diritti acquisiti fin qui.
…vogliamo la RU486!
Oggi in Italia, nonostante sia stato autorizzato nel 2009 l’uso della pillola abortiva RU486, oggi è quasi impossibile per una donna decidere serenamente di abortire farmacologicamente, senza entrare in sala operatoria.
Sarà che grazie alla cultura cattolica e alle sue ingerenze sono ancora molto affezionati al “partorirai con dolore”, figuriamoci se non devi patire abortendo. Sarà anche che persino le forze politiche favorevoli all’introduzione del farmaco in Italia si sono ritrovate ( ed accontentate ) a firmare protocolli regionali che prevedono inutili ricoveri di 3 giorni quasi impossibili in un Paese che continua a tagliare posti letto agli ospedali e in cui la priorità è data sempre e solo a chi deve diventare madre, non a chi sceglie di non esserlo.
Avremmo ancora tante altre istanze, necessità, che nascono da privato e poi si riversano nel politico.
Queste sono quelle che hanno per noi oggi la priorità perchè sintomi dell’arretratezza della struttura socio-economica in cui ci troviamo a vivere.
Se volete farci un regalo, per l’8 marzo o qualsiasi altro giorno dell’anno, madateci una foto, un cartello, un disegno, anche solo una frase, dicendoci quello che vorreste, quello che davvero vi serve, al posto delle mimose.
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