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TENTATIVO di #ESAURIMENTO di UN LUOGO definito #MONDO

Creato il 24 agosto 2012 da Theartship

Claudia Balzani. Alla stessa maniera dello scrittore Georges Perec mi sono seduta di fronte al computer ed ho osservato per più di tre giorni le fotografie delle vacanze degli utenti, amici, pseudo conoscenti e personaggi su facebook, twitter ed instagram.

Ho aumentato l’offerta della ricerca interessandomi anche a pinterest, una novità delle bacheche di condivisione del tutto intuitiva creata nell’ottobre 2011 e già nelle top ten di tutto il mondo.

Proprio questo social network si propone come sostituto delle porte e delle pareti delle nostre camere da adolescenti, le immagini sono appiccicate sulla bacheca virtuale in un susseguirsi di messa a fuoco dell’occhio attento del visitatore. Non posso, come storica dell’arte, far altro che sfogliare la mia bacheca mentale (organica e non informatica) ed estrarre il grande atlante di Aby Warburg, un immenso ed infinito -poiché pensato come tale- atlante di immagini dell’umanità, legate fra sé dall’energia creativa umana: parliamo delle basi della cultura europea e della sua stessa memoria.

Fu infatti Mnemosyne[1] il nome di questo ambizioso progetto presentato nel 1929 presso la Biblioteca Hertziana di Roma. “L’immagine è il luogo in cui più direttamente precipita e si condensa l’impressione e la memoria degli eventi. Dotate di un primordiale potere energetico di evocazione, in forza della loro vitalità espressiva le immagini costituiscono i principali veicoli e supporti della tradizione culturale e della memoria sociale, che in determinate circostanze può essere riattivata e scaricata. Nell’Atlante la giustapposizione di immagini, impaginate in modo da tessere più fili tematici attorno ai nuclei e ai dettagli di maggior rilievo, crea campi di energia e provoca lo spettatore a innescare un processo interpretativo aperto: la parola all’immagine.”[2] L’utente ignaro non sa di partecipare ad un progetto ambizioso e storico-culturale, queste immagini, queste scelte, questi cinguettii virtuali sono la nostra scrittura nelle caverne: non bisogna avere alcun tipo di assolutismo nella distinzione tra ciò che è funzione e ciò che è struttura in una società mobile ed aperta come la nostra.

Per questo la fotografia (ed in questo caso non sto parlando del mezzo ma della funzione) controbatte alla stessa domanda da ormai due secoli: rappresentarci, mostrare chi siamo e cosa facciamo, registrare il nostro tempo nello spazio, miniaturizzare i nostri momenti e consegnarceli come feticcio. Osservando le fotografie pubblicate sui maggiori social network e soffrendo di miopia verso l’esagerato fenomeno del paesaggismo da immagine da cartolina, ho notato una corrente verso la quale molti utenti scorrono o meglio vanno ad abbeverarsi: l’immagine intimista, il reperto trovato in strada, il muro sbriciolato, il colore dello smalto sui piedi, la linea di un cappello e l’ombra che ne consegue.

Un’ondata (per continuare la metafora) d’immagini che non avremmo mai mostrato nel buio del nostro salotto assieme alle diapositive delle vacanze davanti agli amici di sempre eppure oggi sono queste le immagini alle quali siamo sottoposti, pur non ritenendoci gli amici di sempre o addirittura non conoscendoci.

Si fa banchetto di sé, ci si aggrappa al click del fotofonino per fermare ciò che resta del tempo, per catturare il respiro delle cose, come un flaneur del ventunesimo secolo attento a ciò che succede quando non succede (apparentemente) nulla. Nel 1975 Georges Perec, grandioso esponente dell’OuLiPo.[3], pubblicò “Tentativo d’ esaurimento di un luogo parigino” questo libricino ha la pretesa di essere una registrazione di ciò che i suoi occhi hanno visto durante quattro giorni passati tra  place Saint-Sulpice e il tavolino di un bar; più che uno scorrere di immagini questo libro costringe a pensare ad un tentativo di aggrapparsi alle lancette dell’orologio con tutta la forza che si ha, un tentativo di combattere questo fluire con uno scorrere differente, quello delle parole.

Ma già il titolo è una premonizione: questo è solo un tentativo poiché pare impossibile esaurire uno spazio nella sua fisicità e temporalità. Noto oggi nelle fotografie intimiste, accennate in precedenza, questa stessa rinuncia a priori di una visione più larga e meno avvolgente, una rinuncia che non classifica più “ciò che succede quando non succede nulla” come un’eccezione, anzi, di questo nulla fa tesoro e proposta verso una minuzia ed una tensione tipica della visione attuale.

Contro ogni critica ed involuzione queste nuove generazioni di utenti virtuali, figlie di un marketing senza religione, provate da anni di consumismo di cui essi stessi sono la creazione finale, mostrano una tendenza auto celebrativa e intimista, a sprazzi pubblicitaria e patinata, tendente alle grandi ricerche ora classificate come vintage. Inghiottiti da un vortice di icone, pixel e continue trasformazioni vivono i progressi della scienza con lo stupore e l’adattamento immediato, ogni scoperta viene assimilata e fatta propria: la conoscenza delle strutture ci distanza dalla generazione dei nostri nonni (e spesso già da quella dei nostri genitori) come fossimo colonizzatori rispetto ad un popolo di aborigeni. Ma queste strutture vertono su funzioni e software di vecchissima datazione: le immagini infatti hanno lo stesso potere e la stessa energia delle scritte rupestri ed il loro utilizzo funziona ad oggi come una traccia di sé.

Ed io delle mie vacanze voglio lasciare solo la mia ombra sulle strade di Matera, un calice di vino in piazza a Bologna e qualche vestito appeso al mio armadio: salvo tutto questo sotto la cartella giusta ed il mio atlante per ora è aggiornato.



[1] Nel 1929 tenne alla Biblioteca Hertziana di Roma la conferenza su Mnemosyne, esponendo il progetto di un atlante illustrato, Bilderatlas Mnemosyne, dedicato alle emigrazioni e sopravvivenze delle antiche immagini di divinità nella cultura europea moderna.

[2] Tratto da La Rivista di engramma, n.35 agosto–settembre 2004http://www.engramma.it/engramma_v4/homepage/35/index_atlante.html

[3] Acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero “officina di letteratura potenziale”.


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