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Il concetto di contesto richiede, infatti, una nozione di "testualità" che per lo più manca a persone inesperte del misterioso equilibrio tra disciplina e creatività in cui consiste una traduzione. Non bisogna essere esperti di traduttologia per considerare che il dispersivo esercizio scolastico della "versione", nei casi più fortunati, contribuisce a far maturare, con il tempo, la complessa nozione di "testo", ma non può presumerlo quale prerequisito.
Il compito del docente - scolastico o universitario - non può ridursi all'irrinunciabile etimologia, all'origine tessile del termine "testo", o a fantasiosi ricami e svolazzi di esempi su esempi. La correlazione e, addirittura, l'interdipendenza di idee in un testo richiedono dimestichezza con le leggi che consentono la loro stessa compresenza dotata di senso e di valore. Detta in altri termini, non si può pretendere un'educazione retorica e letteraria in chi sta accedendo alla testualità.
Il malinteso per cui una parola si comprende dal contesto sembra disattendere, poi, l'altro principio per il quale ogni singola parola contribuisce a formare il senso del testo complesso. L'esattezza semantica viene ora predicata all'atto della composizione - scritta e orale - salvo poi essere rimpiazzata dalla forza di un intuito che non si capisce su che basi debba agire per decodificare il significato e il senso del testo già formato. Esattezza e intuito, va da sé, non sono necessariamente in contraddizione, ma l'accordo tra queste due doti richiede - ancora una volta - una buona dose di esercizio e/o doti decisamente superiori alla media.
Il problema sta anche nella sostituzione di una regola di carattere generale, che potremmo definire di buon senso, il cosiddetto "contesto", in una serie fin troppo popolata di regoline pratiche difficili da maneggiare e riconducibili a grandi linee al concetto di campo semantico. Proprio mentre insistiamo a che i ragazzi raggiungano un certo livello di profondità e di maggiore astrazione, dovremmo appesantirli con regole e regoline?
Dobbiamo anche ammettere che la pretesa compattezza del "testo", caratteristica che ne favorirebbe l'intelligenza, va in competizione con una sua ineliminabile peculiarità: un testo è tale perché ha un suo sviluppo. Un'idea base trova una sua configurazione mediatica - noi ci occupiamo qui di medium verbale, ma potrebbe essere di altro tipo - che lo veicola al fruitore. Perfino un "testo" descrittivo o assertivo sceglie un orientamento, ha le sue regole comunicative proprie e queste devono essere apprese.
La formula base "Carlo mangia una mela" è comprensibile al parlante italiano per via delle desinenze, della concordanza tra il pronome e il verbo, della posizione degli elementi (soggetto-verbo-oggetto) e, naturalmente, della semantica degli elementi. Può esistere una storia fantastica in cui "una mela mangia Carlo": tuttavia, se voglio comprendere di cosa si stia parlando, devo sapere come funziona questo testo, padroneggiandone le variabili in gioco.
Come si è visto in questo esempio elementare, alcune regole in effetti esistono, non dipende tutto dall'esperienza e/o dalla consuetudine. Mi sembra un totale suicidio intellettuale, in nome di schemi, repertori e strumenti esterni di ogni tipo, rinunciare alle tassonomie e alla memoria (quali sono le preposizioni semplici? quali sono le variabili elementari che ti consentono di identificare il tipo di parola con cui ci confrontiamo? ecc.). Il fallimento dell'intuito nell'opera di decodificazione di un messaggio dipende innanzitutto dalla mancanza - talvolta totale - di chiarezza nei confronti dell'oggetto da individuare.
Sono numerosi i casi di schizofrenia nell'insegnamento delle grammatiche, della lingua e del testo: queste provocano danni incalcolabili ai ragazzi. I risultati ottenuti dai docenti portano a non rari casi di frustrazione, ma ciò dipende anche da errori didattici che possono essere ridimensionati da una più attenta programmazione (intendo la programmazione reale, non il documento da consegnare in segreteria) che tenga conto di alcuni aspetti.
Un primo punto essenziale consiste nell'oggetto del discorso. Di cosa si sta parlando? è una di quelle domande che dovrebbero essere considerate ineludibili. Qual è l'oggetto del discorso? Cos'è questa cosa che stiamo leggendo? "Carlo mangia una mela" è un'asserzione che può essere considerata vera o falsa, ma a un livello elementare non è una domanda, non è un'ipotesi e non si insinua nulla. La mia conoscenza della sintassi e la mia esperienza comunicativa mi aiutano a comprendere almeno questo.
Niente leggi generali, astrazioni varie: questo è quello che stiamo leggendo. Di questo noi parliamo. Chiaro che, quanto più diversi sono gli esempi di lettura che un docente offre, tanto più ciascun tipo di testo va inserendosi in un insieme di possibilità da sviscerare. Non esiste modo per far accelerare l'esperienza, ci vuole tempo: semmai, il docente deve far in modo da farla fruttare il più possibile, deve far sì che non diventi un'occasione sprecata. Il tempo è una variabile essenziale nella testualità e nell'apprendimento in generale.
Da ciò derivano altri criteri. Tipo la qualità dei testi proposti. Leggere solo poesia o solo racconti o solo romanzi o solo teatro o solo testi non letterari è insensato. Ma la sequenza esemplificativa di tipologie testuali diverse e alternative, corredate ciascuna da un apparato di tecniche (a mo' di libretto di istruzione) mi sembra almeno criminale. Una programmazione che proceda così, senza un messaggio, senza puntare alla natura del discorso è come passeggiare per un museo di oggetti di cui si dice come funzionavano, ma non a far cosa.
Svincolare un testo dal messaggio a favore della funzionalità significa svilirlo e pregiudicarne la comprensibilità. L'assurda traduzione prodotta da certi alunni, forse convinti che Senofonte, Cicerone o anche Eliot fossero completamente pazzi, può essere addebitato, sì, a spaventosa pigrizia intellettuale degli stessi, ma anche a discontinuità culturali che vanno sanate prima di fare appello al fantasmatico "contesto". I ragazzi impareranno con il tempo a tradurre l'aoristo passivo o a comprendere il valore del misterioso supino, ma devono essere messi in condizione di affrontare un significato espresso in forma verbale.
Dirò di più: una traduzione che punti all'esercizio (e penso soprattutto al povero de bello Gallico) merita la controparte di una letteratura che esisterebbe solo nelle pagine di storia letteraria, una letteratura che non ha mai avuto una manifestazione fisica, fatta di testi dalla consistenza dubbia, mai avuti o presi in mano dai ragazzi. Una letteratura - testi - che diventa altro da ciò che rappresenta l'incubo quotidiano di moltissimi studenti, ma non per questo risulta più appetibile.
Per questo, la varietà qualitativa dei testi non può prescindere dall'integralità degli stessi. Se proprio non è possibile leggere tutti i Commentarii di Cesare, neanche in italiano, è fondamentale che il docente porti con sé e magari legga da un'edizione dei Commentarii stessi, anche tascabile, economica, anche brutta (contro la patinatura dei costosissimi libri scolastici), ma vera. D'accordo: non tutto può godere di una lettura integrale, ma allora il ragazzo deve avere la percezione di leggere un brano (altro termine riferibile a un contesto tessile).
D'altra parte, se il Bellum civile non viene letto da cima a fondo, la contestuale abitudine alla lettura integrale di testi di diversa natura e grandezza, renderà più spontanee le domande e più pregnanti le risposte. Un ragazzo che abbia letto tanti racconti, un paio di romanzi e un'opera teatrale può anche chiedere al professore perché quel testo lì sia diverso e provare a darsi delle risposte: sbagliate quanto si vuole, perfettibili, ma questo processo è l'inizio del far davvero scuola.
Che poi un docente non se la senta di rinunciare a qualche titolo di opera minore, a pochi brandelli poco chiari di opere che sinceramente non ha letto neanche lui e che sinceramente non ha nessuna intenzione concreta di leggere, in nome dell'esperienza di lettura con i ragazzi e per i ragazzi, questo è ancora una volta un danno incalcolabile per la mente in formazione e anche la vita di giovani affamati di cose e di realtà.
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