Per il giusnaturalista Hobbes, l’uomo pre-civilizzato rinuncia così ad una parte di sé stesso, tra cui l’utilizzo della violenza, per delegarla ad una sorta d’informe ammasso d’individualità, quel Leviatano totalizzante metafora dello Stato assoluto, affinché esso mantenga la pace, condizione indispensabile allo sviluppo borghese. La prerogativa sull’esercizio della violenza e della coercizione, da lì in avanti, saranno quindi appannaggio esclusivo dello Stato: “nelle mani dello Stato la forza si chiama diritto, nelle mani dell'individuo si chiama delitto”. Da quel momento in poi, quindi, tutti coloro che volessero mantenere per sé quell’attitudine alla violenza diventano automaticamente dei terroristi eversori dell’ordine costituito. Un ordine che, proprio per sopravvivere e mantenersi nel proprio "legittimato" ruolo statuito, sembra avere più di tutti bisogno del pericolo e del reiterato spettro della minaccia. Lo Stato si legittima esclusivamente attraverso l’artificio di un terrore che si propone poi di acquietare! E’ il caso delle ultime vicende che campeggiano a monito sulle prime pagine di tutti i giornali nostrani: la barzelletta tragicomica del “tanko” fai da te, che sarebbe stato pronto a dare l’assalto a Piazza San Marco per dimostrare al mondo l’irresistibile vento di protesta irredentista del popolo veneto. Lasciando il compito di valutare la minaccia dei “serenissimi 2.0” agli organismi competenti, ammesso che non si sia ancora esaurita la fiducia verso quel tipo di “giustizia” (i tempi, così a ridosso del referendum farsa sull’indipendenza lasciano quantomeno un vago sospetto), a noi interessa meno “giustamente” l’atteggiamento della macchina statale di fronte ad una potenziale provocazione. Ad ogni modo, sia detto innocentemente di passata, se i Ros, o qualche giudice, entrassero in un qualsiasi bar del Veneto (e non solo), le patrie galere si riempirebbero in qualche giorno di sedicenti “terroristi”. Sulla giustezza della lex italica ne sanno qualcosa, tra gli altri, i serenissimi di primo pelo, terroristi senza santi in paradiso, considerati alla stregua di pericolosi bombaroli, eversori pronti a far saltare per aria n’importe quoi pur di raggiungere il proprio obiettivo. Il principio di questo ressentiement statale è piuttosto chiaro: tu puoi ammazzare chi vuoi sapendo i sacrosanti rischi a cui va incontro il tuo agire, ma la legge non è stata istituita primariamente per proteggere il cittadino dalle violenze dell’homo lupus o per preservarne la libertà individuale (lo è, ovviamente, ma solo accidentalmente), bensì per mantenere lo “status” quo del potere convenuto. Stirner, che di questi argomenti se ne intendeva, ebbe a dire: “nello Stato ci sono soltanto “uomini liberi” che vengono costretti a un’infinità di cose”. Liberi senza tuttavia potersi mai liberare dello Stato! Non è mai troppo tardi per imparare che, così come nei regimi monarchici e nei sistemi di potere teocratico si rischia nella stessa misura in cui si contesta la legittimità del re o del teocrate di turno, in democrazia si rischia proporzionalmente alla messa in discussione dell’istituzione statale e della sua ancella “costitutiva”. Il terrorista è, in definitiva, sempre un’entità che si qualifica dall’opposizione rispetto a qualcosa che lo trascende. Lo Stato, anche quello democratico, è quindi solo l’ultima maschera dei totalitarismi: ammette e tollera ogni cosa purché non ne venga mai scalfita l’autorità.
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Per il giusnaturalista Hobbes, l’uomo pre-civilizzato rinuncia così ad una parte di sé stesso, tra cui l’utilizzo della violenza, per delegarla ad una sorta d’informe ammasso d’individualità, quel Leviatano totalizzante metafora dello Stato assoluto, affinché esso mantenga la pace, condizione indispensabile allo sviluppo borghese. La prerogativa sull’esercizio della violenza e della coercizione, da lì in avanti, saranno quindi appannaggio esclusivo dello Stato: “nelle mani dello Stato la forza si chiama diritto, nelle mani dell'individuo si chiama delitto”. Da quel momento in poi, quindi, tutti coloro che volessero mantenere per sé quell’attitudine alla violenza diventano automaticamente dei terroristi eversori dell’ordine costituito. Un ordine che, proprio per sopravvivere e mantenersi nel proprio "legittimato" ruolo statuito, sembra avere più di tutti bisogno del pericolo e del reiterato spettro della minaccia. Lo Stato si legittima esclusivamente attraverso l’artificio di un terrore che si propone poi di acquietare! E’ il caso delle ultime vicende che campeggiano a monito sulle prime pagine di tutti i giornali nostrani: la barzelletta tragicomica del “tanko” fai da te, che sarebbe stato pronto a dare l’assalto a Piazza San Marco per dimostrare al mondo l’irresistibile vento di protesta irredentista del popolo veneto. Lasciando il compito di valutare la minaccia dei “serenissimi 2.0” agli organismi competenti, ammesso che non si sia ancora esaurita la fiducia verso quel tipo di “giustizia” (i tempi, così a ridosso del referendum farsa sull’indipendenza lasciano quantomeno un vago sospetto), a noi interessa meno “giustamente” l’atteggiamento della macchina statale di fronte ad una potenziale provocazione. Ad ogni modo, sia detto innocentemente di passata, se i Ros, o qualche giudice, entrassero in un qualsiasi bar del Veneto (e non solo), le patrie galere si riempirebbero in qualche giorno di sedicenti “terroristi”. Sulla giustezza della lex italica ne sanno qualcosa, tra gli altri, i serenissimi di primo pelo, terroristi senza santi in paradiso, considerati alla stregua di pericolosi bombaroli, eversori pronti a far saltare per aria n’importe quoi pur di raggiungere il proprio obiettivo. Il principio di questo ressentiement statale è piuttosto chiaro: tu puoi ammazzare chi vuoi sapendo i sacrosanti rischi a cui va incontro il tuo agire, ma la legge non è stata istituita primariamente per proteggere il cittadino dalle violenze dell’homo lupus o per preservarne la libertà individuale (lo è, ovviamente, ma solo accidentalmente), bensì per mantenere lo “status” quo del potere convenuto. Stirner, che di questi argomenti se ne intendeva, ebbe a dire: “nello Stato ci sono soltanto “uomini liberi” che vengono costretti a un’infinità di cose”. Liberi senza tuttavia potersi mai liberare dello Stato! Non è mai troppo tardi per imparare che, così come nei regimi monarchici e nei sistemi di potere teocratico si rischia nella stessa misura in cui si contesta la legittimità del re o del teocrate di turno, in democrazia si rischia proporzionalmente alla messa in discussione dell’istituzione statale e della sua ancella “costitutiva”. Il terrorista è, in definitiva, sempre un’entità che si qualifica dall’opposizione rispetto a qualcosa che lo trascende. Lo Stato, anche quello democratico, è quindi solo l’ultima maschera dei totalitarismi: ammette e tollera ogni cosa purché non ne venga mai scalfita l’autorità.
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