Magazine Diario personale

Terzo cap.: Zia Speranza.

Da Gattolona1964

Buongiorno e ben alzati ai miei grandi e piccoli lettori! Posso dirvi che i primi due capitoli delle avventure di Gattolona sono stati letti da un congruo numero di persone, coloro che non lo hanno fatto, faranno certamente in tempo a leggerlo, ad apprezzarlo e a stamparlo, come avevo suggerito. Rimane il dato certo che molte copie cartacee sono ancora invendute, dal momento che i donatari non hanno avuto per ora, la possibilità di farlo avere in tutte le librerie d’Italia! Ciò mi rammarica, mal o sapevo che accettando di stamapare il mio libro con una gentile e disponibile Tipografia, non m iavrebbe dato la possibilità di far viaggiare il libro in ogni libreria delle regioni Italiane. Ma la bontà e la disponibilità della Tecnograf di Reggio Emilia è stata grande ugualmente, e ora spetto solo di poterlo ristampare in seconda edizione per far conoscere i miei personaggi in ogni posto dove c’è un bambino! Con questo dono, pre-Pasquale, che mi auspico sia gradito da grandi e piccini,  Gattolona Pasticciona può raggiungere, miagolando, tutti gli italiani e anche gli stranieri! Non dobbiamo dimenticare che le prime mille copie sono state donate con gioia, dalla sottoscritta ai bambini ammalati di tumori ed altre patologie gravissime. Purtroppo non h o più avuto notizie sulla vendita dei libri, né dalla Presidente che non vedo e non sento da un mese e mezzo e nemmeno dagli altri componenti dell’associazione! Io nel mio cuore spero di non aver fatto cosa sgradita nel regalare una fiaba e di conseguenza una somma in danaro, che seppur modesta, dovrebbe potere comperare molti giocattoli e osaudire richieste da parte dei loro bambini. Spero, che qualcuno si faccia vivo per aggiornarmi su ciò che stanno ottenendo con le vendite del mio amatissimo libro e quali desideri sono riusciti ad esaudire, credo di avere il diritto di sapere in quali desideri posso aver aiutato i bambini sofferenti. Sarebbe anche per me un bel regalo sapere con esattezza che fine faranno i diecimila euro.…. Vi ricordo che i bambini donatari, fanno parte di un’associazione, credo, onlus o no profit, chiamata Giovani Sorrisi. Spero che tutto il ricavato dei libri, circa diecimila euro, se le mille copie saranno vendute tutte, vadano a esaudire i sogni ed i desideri di questi bambini a me molto cari.

  ZIA SPERANZA.

 

Terminato il nostro giro di perlustrazione, un buonissimo profumo di caffè e cioccolata mi entra nelle narici. Fulmine mi spiega che a quell’ora del mattino a Villa Patatona, viene servito il caffè con i pasticcini alla cioccolata. Con voce molto convincente da vero gentleman, mi domanda se voglio favorire ed io, senza farmelo ripetere due volte, accetto l’invito. Sono proprio curiosa di vedere e conoscere la persona che preparerà il caffè! Mentre Fulmine mi fa accomodare sul divano, vedo entrare una signora non più giovanissima, i capelli raccolti a coda di cavallo naturalmente.  Un maestoso fiocco rosso li tiene ben legati, essendo lunghissimi, alle orecchie della signora brillano orecchini molto vistosi. Indossa un abito di seta, bagliori di luce danzano sulle sue mani ancora giovani e scattanti, il passo svelto e deciso, un viso molto bello e dolce. Noto subito che al dito porta un enorme anello,  grande quanto una mela, che credo di avere già visto. Sono certa di riconoscere anche la signora, ma sì, credo che sia .., ma dove, dove, dove l’ho vista? Perbacco e perbaccolina! Per tutti i gattoni del mondo! E’ la bellissima ragazza della foto sul caminetto, ne sono certa, solo che ora è un po’ invecchiata. Già, gli anni non passano solo per noi gatti, anche se di vite ne abbiamo sette, passano per tutti quanti. Questa insolita e altera signora mi incuriosisce non poco e nello stesso tempo mi incute un certo timore. In effetti sento il mio folto e morbido pelo che mi si rizza sulla schiena e sul muso provocandomi dei brividi di freddo. Fulmine l’accoglie con un sorriso dolcissimo e con lo zoccolo le prende la mano, nell’atto di farle il baciamano. La signora ride e gli dice “Sei sempre il solito tenerone, ma non c’è bisogno che mi baci la mano ogni volta che mi vedi.” Non riesco a fiatare e trattengo il respiro. Quando sento con le mie orecchie che la chiama “mamma”, per poco non svengo di nuovo. Cerco di darmi un contegno per sembrare una gattona rispettabile, pronuncio il mio nome e fingo di non essere stupita nell’apprendere che una donna, cioè un essere umano, è la mamma di un cavallo, cioè un animale. La bellissima signora si chiama Speranza, ma tutti in casa la chiamano affettuosamente Spery. Mentre mi parla è così pacata e gentile che mi auguro di rimanere in questa casa, ancora per molto e molto tempo. Sono troppe le cose da scoprire e i misteri che l’avvolgono devono essere così speciali che non basterà una delle mie vite per conoscerli tutti. E poi quell’armadio così enorme, così chiuso, così inquietante: vorrei essere magica per entrarci dentro senza essere vista e vedere che cosa contiene. Riuscirò mai a farmelo dire da qualcuno? Mentre Speranza mi versa il caffè, lo versa anche a Fulmine in una tazza enorme, con manici di legno e la F. ben incisa a caratteri cubitali. Balbettando non poco, tanto che i baffi mi si attorcigliano al nasino, provo a chiederle come mai lei ha partorito un cavallino e non un bambino e come mai Fulmine parla come un essere umano. Sulla questione del riuscire a parlare non dovrei stupirmi più di tanto, visto che anch’io, pur essendo una gattona, so parlare. Ma questa è un’ altra storia e non posso rivelare per ora chi è che mi ha dato il dono della parola. Mi avevano assicurato che sarei stata io e solo io, l’unico animale sulla faccia della terra a poter avere questo dono speciale. Mi sarebbe servito per raccontare a tutti i bambini e le bambine del mondo, le meraviglie che avrei visto nelle mie lunghe e innumerevoli vite. Così parlando avrei potuto fare compagnia a tante persone buone, ammalate, tristi e sole. La voce mi serve per descrivere ciò che vedo nei miei viaggi. Mi era persa nei miei pensieri, mentre la bella Signora cercava di spiegarmi che Fulmine le era stato assegnato e lo aveva avuto in premio. “Ma in premio per che cosa?” le chiedo con fare sornione, “Che cosa ha dato in cambio per diventare la mamma di un cavallo che, seppur splendido e parlante, è pur sempre un cavallo e non un bambino”. Speranza si fa subito molto seria, il suo bellissimo viso per un attimo diventa triste, mentre una lacrima luccicante le scende sulla guancia destra. Fulmine pronto e attento gliela asciuga subito con la criniera e le dice di non piangere più. “Perché mai lo vuoi sapere?” mi chiede ancora triste. “ Ma perché lo devo spiegare bene ai bambini, alle mamme e ai papà di tutto il mondo e anche a me stessa”, rispondo incredula non capendo ancora se sto sognando o se sono sveglia. “Vedi”, mi dice con fare calmo ma deciso, “Quando ero molto molto giovane, il mio destino era stato già deciso per me, ed io volente o nolente ho dovuto solo eseguire ciò che era stato pensato da altri molto, molto più potenti di me. Io sono stata solo un tramite ed ho seguito la strada già tracciata, perciò ho dovuto fare una solenne promessa, che mai più avrei potuto ritrattare o peggio venire meno alla mia parola d’onore. Avrei dovuto aiutare tutte le persone del mondo e tutti coloro che avevano bisogno di me, dando loro tutta me stessa, cioè la speranza che i loro sogni e i loro desideri si possano avverare. Avevo promesso di guarirli dalle malattie, infondendo loro tanto coraggio e forza e che nessuna lacrima venga mai più versata. Mi era stato dato il privilegio di poter aiutare tutto il mondo, ma ho dovuto rinunciare ad avere bambini, per sempre. Il compito affidatomi dalle dodici Fate Imperatrici, era importantissimo ed io, piccolo ed umile essere umano, non me la sentii di rifiutare, non ne ebbi la forza, anche se la rinuncia ad avere figli tutti miei, fu un dispiacere enorme. Le Fate Imperatrici che erano, come ho detto prima dodici, vedendomi così affranta e triste, decisero di darmi un premio che mi avrebbe, forse, ricompensata del dolore provato, quando seppi che non avrei mai potuto stringere tra le mia braccia,un bambino tutto mio in carne ed ossa. Posso solo rivelare i nomi delle Fate per ora: Gennaietta, Febbraina, Marzoluccia, Apriletta, Maggioluccia, Giugnolina, Lugliaccia, Agostina, Settembrina, Ottobrinetta, Novembruccia, Dicembrona, erano tutte al servizio della Fata in carica, colei che aveva i poteri assoluti su tutte le altre Fate, su tutti i misteri del mondo, su tutti i destini e su tutte le magie, Fata Dicembrona. Ella decise così di regalarmi quello che io avrei dovuto crescere ed amare come un figlio: un cavallino appena nato e abbandonato in un bosco. Risposi che avrei ubbidito, anche se preferivo un bambino vero per poterlo cullare e sentire il suo respiro mentre dormiva beato nel suo lettino. Gli avrei dato mille e mille baci sulle tenere e rosee gote! Desideravo ardentemente poter sentire la sua vocina e poter udire la parola più dolce del mondo”mamma”. Le Fate mi assicurarono che Fulmine non sarebbe stato un cavallino come gli altri, ma un cavallo speciale, unico e magico, con il dono della parola e dell’intelligenza. Mi fecero promettere che avrei dovuto crescerlo e trattarlo al pari di ogni essere umano appena nato, senza mai considerarlo un animale, ma una persona vera a tutti gli effetti. Così fu, così sorrisi ,così giurai davanti alle Fate Imperatrici, il mio impegno solenne. Ognuna di loro mi benedisse con il proprio mantello magico, che ad ogni benedizione cambiava il colore del mio viso facendo apparire su di esso un arcobaleno di colori. Alla fine del rito piovve talmente tanto e tanto forte che i mari del mondo strariparono per sette mesi, sette giorni e sette ore. Passato questo tempo che pareva interminabile, durante il quale avevo perso la speranza di vedere quel benedetto cavallino, non so bene e non ricordo come fu , ma fu che all’improvviso, sotto al portico di Villa Patatona, nel bel mezzo di una notte di luna piena, sentii nitrire, colui che sarebbe diventato a tutti gli effetti mio figlio: Fulmine. Lo trovai rannicchiato e spaurito in una cesta di vimini tessuta con foglie d’oro e diamanti, era talmente piccolo che sembrava un bambino, indossava solo una piccola camiciola azzurra e verde, che conservo ancora nell’armadio. Era bellissimo e tenero come, lasciatemelo dire, un bebè”.Al termine del racconto, Fulmine si accovacciò vicino alle gambe di Speranza, e guardandola con occhi dolcissimi le disse “ti voglio bene mammina” e scosse la criniera così forte che gli occhiali mi caddero in terra frantumandosi in mille briciole.

 



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