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Oggi ti devo parlare, e dirti del nulla, del tutto, della vanità e della morte. Dev’essere oggi, prima che dimentichi. Sono stato. In qualche forma, sono stato. Tu sei il frutto di una maturità perduta. In giardino ho iniziato a mettere i paletti, a recingere uno spazio che sia mio, prima ancora che degli altri. Stanotte ho risentito i morsi della formica, il brusio di mille insetti innervositi dal gelo. L’ape regina, sul muro di fronte, ha cominciato il suo lavoro, non tuttora io il mio.
Alfabeto incerto di mandorle e uliviTu vieni dalle mandorle, ti hanno generato gli ulivi. Vieni da un alfabeto incerto, l’abc della terra che non è, ed è, bagnata dalle acque. Vieni dalle zolle aride, dalla pietra bianca, dalla città perduta. Gli alberi di mandorle li potrai trovare appena qualche passo andando verso la collinetta dietro casa, su per la strada che porta all'aperto, non al fuori, perché qui tutto è fuori.Sono alberi rosacei, velluto e nocciolo, i cui rami circoscrivono, tese come un arco, inverno e primavera. Sono alberi muti, dall’indole immaginifica, amano i colori una volta l’anno, poi si vestono di verde militare e ascoltano i passanti con noncuranza. Hanno un frutto amaro e dolce, e tu vieni da lì.Tu vieni dagli ulivi. Testardi, vecchi e mai paghi di nulla. Come ingordi funghi parassiti, questi alberi li trovi già al primo passo, nel nostro giardino, e li trovi dappertutto, sulle terrazze di pietra e terra, sulle linee degli acquedotti, nelle sfere alte delle ville, tra i bassi linguaggi dei contadini. Li trovi attaccati ai muri a secco che costeggiano il mare. Hanno rami duri e penetranti come ferro, flessibili come uncini, belli da morirne sotto la luna o stagliati oltre il riflettore interrato di una reception. Tu vieni da lì, da questi alfabeti incerti. Da questa parte dell’isola che non è isola ed è isola.
Tu vieni, come tutti gli esseri, dal tempo. Il tempo è quella cosa che non mai capirai, perché non c’è tempo che soddisfi. Il tempo è un pozzo di salamandre e salmastro. Qualche girino sopravvive, ma appena il tempo di un cerchio concentrico disegnato dalla caduta di un sasso. Tu vieni dall’onda anomala, dall’urto e dall’espandersi di un nocciuolo. Tu vieni dall’incerto, dal dubbio dal vago, tu vieni, come tutti noi, da una lettiga a spalla, dall’onda anomala che un tempo formò il tempo.
Bugie degli uomini
Tu vieni dalle bugie degli uomini, e nelle bugie stai. Qui siamo righe vuote di un cammino spento, siamo cerchio inconcluso, mai ci prendiamo per mano. Isole che si sfaldano nasi che si allungano fra mediocrità e vane parole e fatti. Tu vieni dove il cammino ti sarà continuo ladrocinio, tu vieni fra lupi e agnelli, lupus et agnus, vieni nel siero della ricotta e nelle tane. Tu vieni qua.Tu vieni ove dal gioco e dagli affetti per un uscio improvviso ti troverai nel giardino delle favole, e dal giardino passerai alle città, dalle città alle solitudini delle campagne e dei girasoli.Tu vieni qua, in questa conca d’ulivo, tra rami di mandorle in fiore.Ti diranno che il sole non è il giallo ocra pastello sulla carta, che alla domenica segue il lunedì, che le rughe attraversano le idee, che il lavoro nobilita, la bestia è similitudine che non regge, un cartellone, ti diranno, ti segnerà la giusta strada, ama il prossimo tuo come te stesso, porgi l’altra guancia, ti diranno che il paradiso immette in campi di fragole.Tu vieni qua, tu vieni nella vita per la morte, complice anch’io, bugiardo anch’io, io che t’amo.Tu vieni qua, fra le bugie degli uomini, nell’alfabeto incerto di mandorle e ulivi.
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