"Per comprendere le idee, le credenze che oggi germinano nelle folle, per fiorire domani, bisogna sapere come è stato preparato il terreno. L’insegnamento dato alla gioventù d’un paese, permette di prevedere un pò il destino di quel paese." (G. Le Bon)
E’ il 1993 ed esce nelle sale italiane, avvolto da un polverone di polemiche, critiche ed accuse, il nuovo film di Fragasso, uno degli ultimi grandi del cinema di genere italiano, braccio destro di Bruno Mattei e compagno della sceneggiatrice Rossella Drudi.
Come il buon cinema sociale (di un tempo) insegna, il pretesto per raccontare una singola vicenda di disagio e smarrimento sarà la profonda confusione sociale e politica del momento.
"Marco (Gianmarco Tognazzi) è un giovane ventiduenne nullafacente proveniente dalla malfamata e periferia Sud di Roma. Stanco dei soprusi e delle prese in giro da parte di immigrati, un giorno passeggia e vede uno zingaro che infastidisce delle donne, a salvarle interviene un noto naziskin del quartiere, che pesta a sangue il nomade. Attratto dal suo modo di fare e dal carattere spavaldo, lo convince a farlo entrare in un gruppo di skinheads neonazisti, ove inizialmente si trova a suo agio.
Partecipa a missioni punitive verso immigrati di pelle nera, di religione musulmana e occasionalmente ad ebrei; succede che si innamora di Zaira, la colf somala assunta per i lavori domestici da sua madre Roberta (Franca Bettoja). Gli atti discriminatori continuano, ma col passare del tempo Marco tenta di uscire dal gruppo cercando di nascondere il suo rapporto con Zaira." (Wikipedia.org)
L’eccellente sceneggiatura della Drudi, attenta a raccontare e non a giudicare, evita qualsiasi scivolone verso il cinema finto-impegnato (che anni prima aveva dimostrato un’opinabile risveglio con opere come Mery per sempre e Ragazzi fuori), preferendo approfondire con rara sensibilità le vicende dei singoli personaggi, tutti vittime di errori o debolezze personali, agnelli sacrificali di una realtà che rifiuta di comprenderli ed accettarli.
La regia di Fragasso valica con abilità e rodato mestiere le evidenti ristrettezze di budget, in primis con un utilizzo azzeccato dello score composto da Eugenio Bennato e Sergio Cammariere: partiture dolci e martellanti in totale simbiosi con la cupezza della storia (che peraltro ricordano non poco quelle dei migliori post-apocalittici del precedente decennio).
Nondimeno l’opera regala allo spettatore una manciata di prove attoriali davvero indimenticabili: il grande Flavio Bucci (L’ultimo treno della notte, Suspiria) nei panni di un malinconico negoziante ebreo, un giovanissimo Giulio Base (futuro attore e regista di pessime produzioni televisive) e non ultimo il protagonista Gianmarco Tognazzi, mai così convincente ed in parte.
Un titolo attualissimo che merita un degno recupero, indifferentemente dalla plausibilità o veridicità delle situazioni narrate (non appare tuttavia alcun cartello che faccia riferimento a fatti reali), ascrivibile più ad una indagine sincera sulla fragilità di tanti adolescenti che ad un atto di denuncia politica o ideologica.
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