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Testimonianza della violenza che subiscono le donne che vanno ad abortire

Da Marypinagiuliaalessiafabiana
Testimonianza della violenza che subiscono le donne che vanno ad abortire

un manifesto pro-choice Usa

Ricevo e pubblico la lettera di Claudia, scusandomi per il ritardo. Questa è una testimonianza molto importante perchè fa capire quello che subiscono le donne che si recano a fare un’interruzione di gravidanza negli ospedali italiani, malgrado le sofferenze. In Italia la maternità non è vissuta come una scelta ma bensì come un obbligo sociale che vincolerebbe le donne al solo ruolo di madri e mogli, dato che oltre a questo non ci sono nemmeno le strutture sociali adatte a conciliare maternità e vita sociale. Questa è una delle tante storie di donne vittime di un regime “talebano” che controlla i nostri corpi e la nostra sessualità in nome di un integralismo religioso nemico della libertà delle donne e della femminilità. 

 

Ciao ragazze,

gli avvenimenti, gli slogan della marcia romana del 13 maggio, mi hanno spinta a superare un piccolo blocco che avevo nel raccontare una mia vicenda personale. In questa lettera non userò la parola feto per descrivere mia figlia perché ormai non riesco più a considerarla tale.

Sono una 37enne incinta da 22 settimane; alla dodicesima settimana mi sono recata in una struttura pubblica insieme a mio marito per effettuare l’unico tipo di indagine pre-natale che avevamo preso in considerazione, cioè il bitest. Si tratta di una serie di esami che alla fine esprimono la probabilità che tua figlia o figlio abbia una delle tre principali cromosomopatie, cioè la 13, la 18 o la 21 (quest’ultima è meglio conosciuta come Sindrome di Down).  La parte ecografica è stata emozionante perché per la prima volta abbiamo visto un profilo molto simile a quello di una neonata o neonato e perché abbiamo sentito il suo battito. Finito l’esame sapevamo che saremmo stati contattati in breve tempo solo se l’esame fosse andato male.

 Pochissimi giorni dopo, un venerdì verso le 16, hanno chiamato dall’ospedale e ci hanno detto che c’era un rischio alto e che dovevamo presentarci prima possibile, meglio se l’indomani mattina alle 8.30. La telefonata ci ha buttati nel panico. Perché una tale urgenza? Il nostro pensiero, forse a causa di un pizzico di apprensione genitoriale, è andato subito in direzione delle due cromosomopatie peggiori, cioè la 13 o la 18. Un neonato/neonata colpito da una delle due, in base alle nostre conoscenze, nasce spesso morto o muore nei primi anni di vita, la sopravvivenza a 10 anni è bassissima. Con mio marito ci siamo recati in ospedale pensando che in caso di Sindrome di Down non sarebbe stato un problema, ma negli altri due casi avremmo preso in più che seria considerazione la possibilità di un aborto terapeutico. Si tratta di difficili scelte personali o di coppia, noi non avremmo scelto il dolore di una gravidanza così segnata per poi far nascere una creatura morta o che sarebbe morta entro breve. 

 Siamo arrivati davanti all’ospedale che non erano le 8 del mattino, da lontano ho notato un gruppetto di persone proprio davanti all’ingresso dell’ospedale non capendo perché fossero tutti fermi, poi man mano che ci siamo avvicinati abbiamo avuto una brutta sorpresa. C’erano circa una decina di persone che si tenevano per mano stando in cerchio, una donna si asciugava le lacrime, tutti recitavano preghiere, chi poteva farlo guardava negli occhi chi entrava in ospedale e uno di quelli che in quel momento ci davano le spalle, aveva una croce molto lunga in una mano e un manifesto sulla schiena che raffigurava un feto, che in realtà era un neonato, che implorava la madre di non ucciderlo. Per me è stato come ricevere un pugno ben assestato nello stomaco, io che mi accingevo a scoprire una verità che avrebbe potuto cambiare il corso della mia gravidanza, che sapevo che nell’arco di pochi minuti si sarebbe potuto infrangere il sogno di una maternità, io che da quelle persone e da quelle immagini venivo inconsciamente spinta a provare senso di colpa. Peccato per loro che non credo alla madri coraggio, peccato che penso che le scelte vadano rispettate, peccato che ho vissuto gli atteggiamenti di quelle persone come violenti e meschini e dentro di me ho reagito con altrettanta violenza… disprezzandoli in cuor mio perché in quel momento non avevo energie per parlare.

 Alla fine di tutto la mia piccina non ha nulla, abbiamo vissuto un mese di terrore, ma è passato. Una delle cose rimaste è la frustrazione per quell’invadenza subita che forse, se le cose fossero andate diversamente, mi avrebbe segnata molto di più perché quell’immagine non ha più lasciato la mia mente.

Il solo fatto di raffigurare un feto di 12 settimane come un bambino formato è di una cattiveria indescrivibile. E allora adesso mi sento di urlare a quella gente che sono persone meschine. Occuparsi del feto senza occuparsi delle famiglie, dei problemi che donne ed uomini devono affrontare per avere dei figli è semplicemente vigliacco, superficiale. È la solita scorciatoia che può farli sentire in pace con la loro coscienza, ma che è vana e vuota di significati.

Se davvero vogliono che ci siano meno aborti perché non si danno da fare per avere leggi più giuste, per una visione della genitorialità che liberi un po’ le donne dal peso che devono sostenere e dia un senso diverso al concetto di famiglia? Quasi ogni donna lavoratrice subisce mobbing perché i datori di lavoro vorrebbero solo un esercito di nullipare. Ricordo, ad esempio, che durante un colloquio mi sono sentita dire “purtroppo lei sa che voi donne avete le tube. Cosa ne pensa dei figli?”. Quasi ogni lavoratrice, che non può contare su una rete parenterale, sa che in Italia abbiamo un numero di asili nido insufficiente, per non dire ridicolo.

 Mi fermo qui, ma sapete bene che gli esempi di campi d’azione sarebbero numerosi e vasti e porterebbero maggiori frutti a chi dice di voler combattere per la vita.

Non sono a favore dell’aborto, ma sono a favore della 194, a favore della libera scelta e disprezzo chi cerca di colpevolizzare le donne.



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