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Il documentario è una discesa in un abisso grottesco in cui il ricordo sembra ancora dolce e il rimorso è un qualcosa di sconosciuto....Appena partiti i titoli di coda di questo documentario , diretto da Joshua Oppenheimer, da Christine Cynne da un regista indonesiano anonimo ( anzi a scorrere i credits colpisce quella lunghissima sfilza di maestranze il cui nome resta volutamente misterioso, a testimoniare la scomodità del tema trattato dal film e il suo materiale narrativo più che scottante) si è come liberati da un incubo.Non per la qualità del film, altissima, ma si rimane veramente senza parole ad assistere impotenti allo sfoggio di tanta malvagità, a toccare quasi con mano quanto possa essere pericoloso l'animale uomo , l'unico al mondo capace di sterminare altri esponenti della sua specie praticamente senza motivo.Oppenheimer e i suoi coregisti scelgono l'assoluta neutralità: nessuna voce off, solo qualche didascalia all'inizio per inquadrare il contesto storico, poi è un assolo di questi due nonnetti , apparentemente miti e inoffensivi , che snocciolano come se fosse la cosa più normale del mondo tutte le atrocità che hanno commesso in quel 1965.
Si rimane straniati, senza parole, perché assieme ad altri componenti degli squadroni della morte di quegli anni , miti vecchietti come loro, accettano di far parte di una sorta di rappresentazione storica che. partendo dai loro racconti di tortura e di morte , rievoca un periodo storico fondamentale della storia indonesiana.Il corto circuito è completo quando addirittura , questi ometti ormai piuttosto in là con gli anni accettano di recitare nella parte delle vittime.Un gioco grottesco con il regista che diventa responsabile di una loro caratterizzazione oltre i confini del ridicolo.Il regista diventa quindi un deus ex machina che riesce a comporre e scomporre un quadro storico come se tutto fosse un mosaico e lui fosse in possesso di tutte le tessere.Ed è qui, rivedendosi , che Anwar Congo, ha un minimo atto di cedimento, quando abbracciato ai nipoti, orgoglioso di farsi vedere nelle vesti di attore, quasi fosse a Hollywood, si domanda se pagherà mai un prezzo per tutte le nefandezze che ha commesso nel suo passato.Rimorso no. Quello è assolutamente fuori contesto.The act of killing sconvolge per quello che non è poi accaduto nella storia indonesiana: dopo il massacro di un milione di presunti comunisti, nessuna revisione storica ha cercato di assicurare i colpevoli alla giustizia terrena ( forse sperando solo in quella divina), nessun rimorso per il passato neanche a livello istituzionale , visto che gente come Anwar Congo, Herman Koto e tutti quelli come loro responsabili fisici di quel genocidio, oggi siano stimati vecchietti, benestanti e considerati anche saggi, una sorta di memoria storica di un paese giovane come l'Indonesia.
Non solo Michael Moore nel documentario di denuncia: non solo le sue spettacolarizzazioni per dimostrare le sue tesi,Esiste un modo altro per raccontare tremende storie vere, ferite ancora aperte .E questo è The act of killing , l'atto di uccidere, il racconto, grottesco e metacinematografico, di come a metà degli anni '60, in un popoloso Paese asiatico, la vita dell'uomo non valesse nulla.Un modo come un altro per svuotare di significato l'omicidio e la tortura, l' atto fisico dell'uccisione e mettere a tacere eventuali sensi di colpa.Che a distanza di quasi 50 anni ancora faticano ad affiorare.Anzi sono ancora ben sepolti.
PERCHE' SI : si resta senza parole, sconvolgente, rappresentazione metacinematografica di grande impatto visivo ed emotivoPERCHE' NO: può essere insostenibile per qualcuno, altrimenti non riesco a trovargli difetti...
( VOTO : 8,5 / 10 )
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