di Guido Mattioni. “Ognuno ha i Trump che si merita”. È stato questo il primo pensiero – transoceanico – che mi ha attraversato la mente mentre ieri attendevo la metropolitana rossa alla Stazione di Porta Venezia, a Milano. Pensiero immediatamente seguito, quasi ad alta voce, da una valutazione icastica e tutto sommato più italiana: “Che schifo”. No, il disgusto non si riferiva a quell’aria spessa, margarinosa e acida, che galleggia nella MM ambrosiana ogni mattina (per intenderci mi riferisco a un profumo finto di pasticceria che ti prende alla gola e allo stomaco… sono i croissant cotti con grassi innominabili e spacciati nei bar dei mezzanini, Dio mio com’è lontana Parigi!) No, l’oggetto del mio disgusto – anzi, la sua causa scatenante – era un poster pubblicitario affisso sul muro del marciapiede opposto. Una cosa enorme – per dimensioni quasi un manifesto da rivoluzione maoista – e perdipiù illuminato, che ritraeva un gruppo di persone in posa.
In primo piano non c’era però il Grande Timoniere. C’era altro: dietro a due lenti azzurrine, due occhi sporgenti, bovini; sopra gli occhi una capigliatura bianca, declinata sul collo in ridicoli riccioli e cernecchi; come sfondo dominante un’abbronzatura violenta, da lampada, color terracotta; e infine, a chiudere tutto, più in basso, una pappagorgia quasi da pellicano. Insomma, Flavio Briatore.
Dietro e attorno a lui, a fargli corona, una serie di giovani volti anonimi, perlopiù da sfigati senza arte né parte, quelli del “dacci oggi il nostro happy hour quotidiano”: per i maschi facce, pettinature e abbigliamento da calciatori, o al massimo da nostalgici del Capital anni Ottanta, la Bibbia degli wannabe, dei vorrei ma non posso. Aspetto ovviamente da veline per le ragazze. Sguardi? Quelli riconoscibilissimi di chi, dopo averle provate tutte per entrare nel mondo dello spettacolo (il Grande Fratello, X Factor, Masterchef), è all’ultima spiaggia.
L’ultima spiaggia si chiama in questo caso The Apprentice (ovvero l’apprendista, il tirocinante, il praticante, fate voi), remake italiano di un format televisivo andato in onda in America per la prima volta cinque o sei anni fa con la conduzione del costruttore miliardario (e per fortuna fallito candidato alla presidenza Usa) Donald Trump, uno che si era fissato sul fatto che Obama non fosse nato in America, circostanza che per la Costituzione ne avrebbe impedito l’elezione alla Casa Bianca. Sì, proprio quel Trump che David Letterman, presentatore del The Late Show, definisce sempre con un ghigno dei suoi come “l’uomo che gira con un gatto in testa”, riferendosi al grottesco e mostruoso riporto biondo che ne ricopre il cranio come una soffice calotta.
Il succo di The Apprentice, un cosiddetto “talent show” che va in onda su un canale tv chiamato Cielo (cavoli, mi era sfuggito, che passi da gigante stiamo facendo verso la cultura, grazie a questa conquista chiamata digitale terrestre!) è lo stesso della trasmissione americana (il format, gnurant, si dice il format!) dalla quale è stato clonato: una gara senza esclusione di colpi tra sedicenti aspiranti manager al termine della quale uno solo viene assunto da un’azienda.
Si chiama format perché in questo mondo del piffero non ci deve essere bisogno di pensare; perché in questo mondo del piffero sono ormai vietati – quasi fossero dei pericoli mortali – l’intelligenza della fantasia, l’estro creativo della diversità, la geniale musicalità di una stonatura. Perché oltre ad averci globalizzato le mode, i gusti e i sapori, questo mondo del piffero ci sta globalizzando anche le minchiate. Le stesse ovunque e per chiunque, senza distinzione geografica o di ceto, che ci sia il Trump vero oppure quello de noantri, Briatore. Siamo all’equa distribuzione della stupidità, al “dementi di tutto il mondo unitevi”. Grazie alle tv non ce ne risparmiano una: si va da quei ceffi in occhiali neri che giocano a poker attorno a un tavolo verde (molto educativo, per i giovani!) alle spose confettose dell’Ohio o del Nebraska che provano tra gridolini l’abito nunziale un anno prima delle nozze; dai ragazzi obesi del North Carolina o dell’Alabama che cercano di dimagrire, per arrivare al massimo del minimo, ovvero una roulette inquadrata dall’alto mentre gira. E io, cambiando canale inorridito, non mi chiedo “dove finirà la pallina?”, ma penso invece – antropologicamente preoccupato – “chissà che facce avranno quelli che la seguono mentre gira?”.
Featured image, Lord kitchener che potrebbe avere ispirato il Grande Fratello (1984) di George Orwell.
Share this:
- Digg
- Tumblr
- StumbleUpon