Il monicker The Bad Mexican è sicuramente originale ed intrigante ma, con un semplice cambio di consonante (Mad inceve di Bad), sarebbe stato molto più indicato per una band contraddistinta da una sana follia compositiva.
Nati nel 2009 a Montepulciano (cittadina del senese e terra di ottimi vini, peraltro), i nostri (Filippo Ferrari - voce e basso, Tommaso Dringoli - voce e chitarra e Matteo Salutari - batteria) esordiscono l'anno dopo con un album programmaticamente intitolato "This is the first attempt of a band called The Bad Mexican"; poco dopo, l'ingesso di un quarto membro nella persona di Davide Vannuccini (sax ed elettronica) completa la line-up e, dopo un'intensa attività live, arriviamo al 2014 con la pubblicazione del nuovo lavoro, intitolato molto più prosaicamente .
L'impatto con Uno che, strano a dirsi, è la prima canzone del disco, ci scaraventa senza troppi preamboli in un mondo affascinante popolato da anime sghembe quanto geniali come quella di Les Claypool: infatti i Primus sono il primo nome che viene in mente anche se la ridda di cambi di ritmo e di umori è moltiplicata all'ennesima potenza.
Due smentisce subito quest'impressione con la sua impronta jazzistica mentre Tre si può definire approssimativamente come un episodio di ambient elettronica.
Quattro è uno dei picchi di un album che, magari, si faticherà ad assimilare ma che fornirà grandi soddisfazioni: qui affiora qualcosa dei System Of A Down più intimisti assieme ad una vena post- grunge, ovviamente contaminata da tutti gli ammennicoli possibili ed esaltata dal sempre presente operato dei fiati.
Al contrario, Cinque convince molto meno con il suo andazzo alla Harry Belafonte, ma Sei riconcilia subito con i ragazzi toscani grazie alle sue pulsioni psichedeliche ed un refrain più orecchiabile rispetto agli altri brani.
Sette ci riporta parzialmente agli influssi della band di Tankian ma con tali e tante variabili che un simile accostamento può risultare fuorviante; Otto è un bel crescendo basato su percussioni e chitarra mentre Nove chiude il lavoro esaltando all'ennesima potenza la pazzia dei The Bad Mexican.
All'inizio dell'ano mi è capitato di recensire il capolavoro firmato dai 6:33, altro disco contraddistinto da uno stravolgimento totale degli schemi compositivi consueti: l'opera dei geniali francesi resta ancora un gradino sopra, un po' per mio gusto personale, lo ammetto, ma soprattutto perché in quel caso la sperimentazione non è mai fine a se stessa ma viene sempre incanalata in un modo o nell'altro in una riconoscibile forma canzone.
I The Bad Mexican ci riescono quasi sempre ma talvolta osano forse anche troppo, di sicuro il loro è uno degli approcci più originali alla materia che abbia avuto modo di ascoltare da parte di band italiane in epoca recente.
Ottimi musicisti che probabilmente non amano prendersi troppo sul serio, i nostri infatti hanno messo sul piatto una quarantina di minuti pieni di musica folle, avvincente e convincente.
Basta e avanza per far diventare una piacevole alternativa ai soliti ascolti, qualsiasi genere siate abituati ad ascoltare normalmente.
Line-up:
Filippo Ferrari - voce, basso
Tommaso Dringoli - voce, chitarra
Matteo Salutari - batteria
Davide Vannuccini - sax, elettronica