di Luca Barana
Barack Obama è stato rieletto Presidente degli Stati Uniti d’America. Risiederà dunque per altri quattro anni alla Casa Bianca: four more years, come lo slogan scandito a gran voce dai suoi sostenitori al quartier generale elettorale a Chicago e in Pennsylvania Avenue a Washington. Mitt Romney, il candidato repubblicano, si è dimostrato un avversario tenace. Non è stata infatti una vittoria semplice, né scontata. Se per lunghi mesi Obama ha guidato nei sondaggi, il confronto alla pari che ha dominato l’ultimo mese di campagna elettorale sembrava riproporsi anche durante le concitate fasi di chiusura dei seggi e di esposizione dei primi risultati, che lentamente contribuivano a disegnare la nuova mappa elettorale americana. I due candidati si vedevano assegnati gli Stati più scontati, ma erano ovviamente gli swing States a dominare la scena.
Il testa a testa appariva infatti serrato in Florida, dove aleggiavano i fantasmi di un nuovo finale all’ultimissimo voto come nel 2000. Romney guidava in Virgina, ma il vantaggio si assottigliava man mano che la nottata avanzava. In Ohio, Obama appariva saldamente al comando, ma l’intrinseca volatilità dello Stato in questione non permetteva di dettare delle conclusioni definitive. Poi è arrivata la tarda valanga azzurra, che ha consegnato, secondo le ultime stime, al Presidente uscente tutti e tre i più importanti swing States: Ohio, Virginia, Florida. Senza questi importanti tasselli, il progetto di vittoria di Romney si rivelava impossibile da portare a termine, anche perché il candidato repubblicano aveva perso nettamente altri Stati in cui il GOP aveva sperato di portare un colpo a sorpresa, come Wisconsin, Stato natale di Paul Ryan, e, soprattutto, Pennsylvania, dove Romney aveva svolto una delle ultime fermate del suo interminabile tour elettorale.
Negli Stati in bilico, secondo le previsioni, sono state alcune contee a sancire il risultato finale, rivelandosi territorio di conquista democratico. I sobborghi di Washington in Virginia. La zona urbana di Cleveland in Ohio. I distretti elettorali nei pressi di Tampa in Florida. Queste vittorie hanno permesso a Obama di mantenere il controllo su alcune delle sue più importanti conquiste della precedente tornata elettorale del 2008. Di fatto, il grande merito elettorale di Obama è stato quello di aver conservato la maggior parte degli Stati conquistati quattro anni fa, se si escludono l’Indiana e il North Carolina, dove invece Romney ha avuto la meglio. Il successo presidenziale appare netto, soprattutto se confrontato con l’atmosfera di incertezza che ha regnato sino all’ultimo nella nottata elettorale, nonostante molti sondaggi dei giorni precedenti riconoscessero un certo vantaggio in molti Stati contesi al Presidente uscente.
L’America, tuttavia, appare un Paese diviso. Le divisioni profonde fra il Presidente democratico e un Congresso che non ha visto modificare la propria fisionomia in questa tornata elettorale non verranno meno, nonostante la convincente affermazione di Obama. Se infatti il Senato rimane in mano ai democratici, alla House of Representatives il GOP mantiene la maggioranza conquistata nel 2010. In vista delle sfide più immediate, come il necessario tentativo di risolvere i problemi fiscali dello Stato federale ed evitare il fiscal cliff che rischierebbe di gettare l’economia americana in una nuova recessione, un maggior grado di cooperazione è auspicabile. E lo stesso Obama ne pare consapevole.
Il discorso con cui il Presidente ha celebrato la propria rielezione, infatti, ha avuto come tema principale quello dell’unità e della solidarietà fra i cittadini americani. Obama si è rivolto all’America come a una grande famiglia, in cui ci possono essere divergenze, ma che in fondo si muove unita in una sola direzione. Avanti. Obama ha voluto trasmettere un messaggio di speranza, cercando di riproporre il sogno americano incarnato da lui stesso quattro anni fa e poi parzialmente offuscato dagli inevitabili compromessi della vita politica quotidiana. Il Presidente ha rivendicato con orgoglio i valori americani, ricordando ai propri concittadini come la democrazia può anche essere un affare molto complicato e spigoloso, come ha dimostrato la serrata campagna elettorale, ma il cui valore non può essere posto in discussione. Nel mondo c’è chi ancora sta lottando per il diritto a discutere.
Con il proprio discorso, il Presidente ha voluto esplicitamente compiere un primo passo verso la riconciliazione nazionale dall’alto della sua posizione vittoriosa, ricordando come sarebbe fuorviante una visione dell’America nettamente divisa fra Stati rossi e blu, quando invece la realtà è quella di una nazione unita e solidale. D’altro canto la realtà elettorale sembra indicare un futuro diverso per gli Stati Uniti, dato che nessun segnale per ora pare indicare un efficace superamento dello stallo in Congresso e nei rapporti fra esecutivo e legislativo. Spetterà alle prossime settimane fornire delle prime risposte a riguardo, dato che i tagli alla spesa pubblica e gli aumenti delle tasse entreranno in vigore automaticamente a gennaio, in caso di mancato accordo sul deficit federale.
Romney, che ha esitato a riconoscere la vittoria di Obama fino ai dati indiscutibili provenienti dall’Ohio in tarda nottata, ha telefonato al Presidente e ha affermato di aver pregato perché Obama sappia guidare la nazione nel modo corretto. Difficile interpretare queste parole come un qualcosa di più che un inevitabile gesto di cortesia da parte dello sconfitto. Il fatto che osservatori repubblicani interpellati dalla CNN affermassero che la reale volontà popolare si sarebbe espressa tramite la conferma della maggioranza del GOP alla Camera non pare presagire scenari futuri incoraggianti. Tuttavia, è davvero troppo presto per osare conclusioni definitive. Molti, compresi tanti osservatori europei che guardano con malcelato timore alle vicende economiche americane, auspicano che il pericolo di cadere nel baratro fiscale alle porte spinga le parti a intraprendere un approccio più conciliante.
Ma questo è domani. Oggi, ha vinto Obama. Forse non ha vinto la sua visione di speranza e ottimismo come quattro anni fa, ma il discorso tenuto stanotte indica che il Presidente non ha abbandonato quegli ideali e che, forse, in un secondo mandato senza l’ostacolo della rielezione di fronte, Obama sarà in grado di perseguirli con rinnovato vigore. È la speranza non solo dei cittadini americani, ma di tutti.
* Luca Barana è Dottore in Scienze Politiche (Università di Torino)