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The Canyons – La recensione

Creato il 18 novembre 2013 da Drkino

In sala il thriller che doveva fare scandalo: poteva essere una micidiale vodka redbull invece è solo un sofisticato cocktail annacquato.

the canyons locandina

The Canyons era un thriller che, almeno sulla carta, poteva essere materia incandescente, di quelli che si fanno attendere con avida curiosità fin dal loro annuncio. La storia è un classico: il torbido triangolo amoroso. Christian (James Deen) è un giovane arrogante ed egocentrico produttore cinematografico che convive in maniera libertina con la sua nuova fiamma, Tara (Lindsay Lohan). Tutto procede per il meglio, finchè Christian non scopre la relazione di Tara con Ryan (Nolan Gerard Funk) ex di lei e protagonista del film prodotto da Christian. A questo punto gli eventi precipitano e Christian si rivela più perverso e possessivo di quello che dava a vedere. Niente di nuovo sotto il sole, la trama ricalca lo schema di tanti (troppi) thriller/noir. Quello che però doveva destare interesse nel cinefilo d.o.c. era l'incontro tra due grandi e controverse personalità del mondo della letteratura e del cinema: Bret Easton Ellis (alla sceneggiatura) e Paul Schrader (alla regia). L'enfant prodige della letteratura pulp postmoderna autore di libri quali American Psycho, Le regole dell'attrazione o Glamorama e il regista/sceneggiatore dietro ad alcuni capolavori scorsesiani (suoi i copioni di Taxi Driver, Toro Scatenato) nonché autore di alcuni cult come American Gigolò. Da due “pezzi da novanta” così era lecito aspettarsi se non un capolavoro almeno un cult maledetto.

The Canyons immagine 2
​Così non è stato. Eppure ad aggiungere “benzina sul fuoco” c'era pure la controversa scelta di James Deen, attore del mondo del porno prestato alla recitazione classica. The canyons parte in maniera promettente: il dialogo iniziale a quattro nel locale possiede un'atmosfera, ipnotica, sulfurea e straniante e fa sperare bene. Sfortunatamente, man mano che procede la narrazione, tutto si fa molto convenzionale, qua e là ci sono echi di Abel Ferrara e dell'ultimo Soderbergh, ma la tensione è calante, l'atmosfera scialba e spenta, la noia regna quasi sovrana. Vorrebbe essere una rappresentazione e una critica di un certo tipo di società americana: ricca annoiata, vacua e discretamente perversa. Il pane quotidiano per Ellis che però è risultato molto più efficace nei suoi romanzi precedenti. Schrader, dal canto suo dirige, con una certa eleganza puntando in diverse occasioni sull'effetto flou a livello di illuminazione della scena. Scene patinate che dovrebbero restituirci la falsa e plastificata apparenza di soggetti altrimenti tristi e meschini. L'intento però fallisce a causa di una recitazione complessiva dilettantesca (il migliore è proprio Deen, ed è tutto dire) e il film finisce per essere un'occasione sprecata. Sui titoli di coda, però, cade l'occhio su una carrellata di immagini che rappresentano cinema vecchi ormai dismessi e distrutti, immagini che in parte avevano anche aperto il film, allora sovviene il sospetto che in realtà ci fosse un sottotesto metacinematografico sulla morte del cinema e della purezza dell'immagine. Tutto troppo sotterraneo e appena abbozzato per poter rivalutare il film.

EFFETTO DELUSIONE DA ANTIDEPRESSIVO

Valerio Daloiso

Regia: Paul Schrader – Cast: James Deen, Lindsay Lohan, Nolan Gerard Funk, Amanda Brooks, Gus Van Sant – USA, 2013 – Durata: 99 min.

 

 

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