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The Cave e altri ricordi

Creato il 05 maggio 2014 da Automaticjoy
Colonna sonora per la lettura: The Cave – Mumford & Sons; Everytime – Britney Spears
But I will hold on hope and I won’t let you choke on the noose around your neck
And I’ll find strenght in pain and I will change my ways, I’ll know my name as it’s called again

Da sempre sono ossessionata dall’idea di dimenticare, scrivo diari, mi appunto sensazioni sul retro degli scontrini per non perdere pezzi di me. Col tempo, ho imparato a ricostruire i ricordi in modo tanto convincente da riuscire a ignorare che sono parte del passato. Non è un’abilità sana né invidiabile, me ne rendo conto. Il Giappone, soprattutto dall’estate in poi, è stato l’unico momento della mia vita in cui ho vissuto soltanto nel presente, in un edonismo emotivo sfrenato nel quale non esistevano più ieri né domani.
Daimonji Gozan no Okuribi
Come ho letto in questo post bellissimo, ci sono ricordi che aprono mondi. Sono così vividi e reali che basta chiudere un attimo gli occhi per avere l’illusione di essere proprio lì, immersa di nuovo in quel mondo parallelo – non era lo stesso in cui sto vivendo ora, ne sono certa, e quasi vorrei continuare a tenerli serrati all’infinito. Di più, sono punti di partenza da cui ricostruire qualcosa. Potrei pensarci per ore e giorni, trovarne altri mille, ma per ora queste sono le mie capsule del tempo.
Il tragitto in bicicletta verso scuola era il momento in cui, ascoltando Billie the Vision and the Dancers o Trouble will find me dei National, mi preparavo a riprendere i contatti con il mondo. In testa avevo sempre tanti pensieri, organizzavo mentalmente la mia giornata e cercavo di venire a capo dei mille casini che stavo combinando. Il tratto in cui pedalavo accanto al Nijo-jo, per qualche ragione, me lo raffiguro sempre in estate: il sole già caldissimo delle otto e mezza, io in pantaloncini e All Star e dentro una felicità sfolgorante, che mi riempiva il petto tanto da farmi credere che sarei esplosa. Sorridevo da sola e cantavo, pregustando il momento in cui, svoltando su Horikawa, sarei passata davanti al signore che ogni mattina si inchinava e diceva Ohayou gozaimasu (buongiorno) a tutti i passanti, avrei ricambiato il suo saluto con un cenno della testa, e gli sarei stata infinitamente grata per quel suo lavoro deliziosamente superfluo, eppure in grado di farmi sentire bene ogni volta, ogni giorno.
Nijo-jo 
The Cave dei Mumford & Sons, sono quasi certa, l’aveva scelta Dennis. Non l’avevo mai sentita, me ne innamorai. L’abbiamo cantata tante volte tutti insieme, con Pontus, Miguel, Maria e Dan; l’ho fatta conoscere a Simon che aveva (ha?) una playlist intitolata “Elena” su Spotify, e quando la ascolto ci immagino ancora tutti abbracciati, a cantare nello stesso microfono, io e queste persone che mi hanno accettata e sopportata e mi hanno considerata degna della loro amicizia come nessuno aveva fatto prima, e The Cave è quanto di più vicino ci sia a un inno al bene infinito che provo per loro.
Lo conoscete, voi, quel gioco in cui quando si vede una macchina gialla si dà un pugno all’amico più vicino? A quanto pare esiste anche in Corea, ma non è questo il punto. Tra me, Dan e Simon per tre mesi è stata guerra aperta. Dato che sono una persona vagamente competitiva ho finito per sviluppare una sorta di yellow radar e ho memorizzato la posizione e le abitudini delle macchine gialle (ve lo giuro), vincendo il titolo di campionessa intercontinentale a suono di ett, två, tre, fyra (perché nel frattempo ho imparato a contare in svedese). Anche ora le macchine gialle mi fanno scattare sull’attenti.
Poco dopo il mio arrivo ha iniziato a riempire la città un profumo dolcissimo, che pervadeva l’aria e le narici diventando parte di tutti i primi ricordi giapponesi. Quando, per la seconda volta, annusai la kinmokusei mi resi conto che era passato un anno, e io ero ancora a Kyoto.

Uji

Uji, il primo luogo in cui sentii profumo di kinmokusei


Pontus che mescolava le carte mi faceva sempre andare in brodo di giuggiole, ogni volta ero felice come una bambina. Con l’abilità di un croupier divideva il mazzo a metà e lo riuniva con dita veloci, mentre io lo imploravo “Do it again! One more time, just one more time!” e lui, che è una delle persone più dolci che abbia mai conosciuto, non mi diceva mai di no. Anche se sono infantile e irritante, se lo chiedete a lui vi dirà sempre che sono una ragazza adorabile, e una delle amiche migliori che abbia mai avuto.
Il mio appartamento al tramonto, col sole che piano piano si inabissava giù dietro alle montagne di Arashiyama, era inondato da una luce calda e accogliente, che mi avvolgeva mentre studiavo. A volte mi fermavo a guardarla, altre lasciavo che svanisse a poco a poco percependola come una presenza abituale e discreta, che sapeva di casa.
Tramonto su Kyoto
Le movie night da Dan sono nate per assecondare la mia esigenza a guardare dei film e guardarli in compagnia (se qualcuno se lo stesse chiedendo, sì, ero la dittatrice del gruppo). La sera della partenza di Pontus abbiamo guardato Spring Breakers. La scena di Everytime – play something fucking inspiring – mi ha lasciata secca e per giorni, dopo, ho ascoltato in loop, mio dio, quel brano di Britney Spears. Ho rivisto la scena e riascoltato il pezzo mentre scrivevo, e non ho mai avuto la sensazione di essere sbalzata indietro nel tempo come ora.
I giorni intorno alle vacanze per l’obon sono stati pieni di una gioia di vivere tale da farmi quasi male. Ho visto i fuochi d’artificio riflettersi sul lago Biwa, e la sera dopo di nuovo sulla mia amata Uji, indossando uno yukata verde bellissimo e scomodo come l’inferno. Abbiamo mangiato kakigoori (granite) comprati a una bancarella, mentre l’aria ancora non accennava a rinfrescarsi.
Fuochi d'artificio sul lago Biwa
Siamo andati al karaoke per festeggiare il compleanno di Simon, e poi Tomoko ci ha caricati in macchina e portati su su oltre Kurama, dove la notte è davvero nera e bisogna guidare piano perché i cervi – decine di cervi – passeggiano tranquillamente ai bordi della strada. Nessuno di loro sapeva che a San Lorenzo ci sono le stelle cadenti, così ho insistito. Non so nemmeno quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che avevo visto la Via Lattea, e poi una dopo l’altra le meteore si sono lasciate contare da noi che stavamo a testa in su in mezzo a una foresta chissà dove a nord di Kyoto.
Siamo andati al mare, mi hanno persino convinta a fare il bagno nonostante il mio terrore per le meduse. Ero l’unica in costume, le donne giapponesi difficilmente si scoprono, nemmeno in spiaggia. Abbiamo portato un cocomero e i bambini lo hanno rotto colpendolo a occhi chiusi con un bastone.
Estate giapponese
Infine, la meraviglia dei grandi kanji infuocati su cinque montagne intorno a Kyoto, per il festival di Daimonji. Se avete presente l’estate giapponese degli anime, ecco, faticavo a crederci anche io, ma quei cinque giorni sono stati esattamente così, accompagnati dal verso delle cicale. Solo che io ero un po’ più adulta dei protagonisti di quelle storie, e col cuore traboccante di un amore che credevo mi avrebbe mozzato il respiro.

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