The Congress (Israele, Germania, Polonia, Lussemburgo, Francia, Belgio 2013) Regia: Ari Folman Sceneggiatura: Ari Folman Ispirato al romanzo: Il congresso di futurologia di Stanislaw Lem Cast: Robin Wright, Harvey Keitel, Kodi Smit-McPhee, Sami Gayle, Paul Giamatti, Danny Huston, Michael Stahl-David, Michael Landes, Sarah Shahi Genere: ibrido Se ti piace guarda anche: Essere John Malkovich, S1m0ne
Ci sono dei film che hanno tutte le carte in regola per diventare dei cult, o se non altro per far parlare di loro, e invece non se li fila nessuno. The Congress è uno di questi. Dopo essere stato presentato al Festival di Cannes 2013, è passato del tutto sotto silenzio e in Italia, ovviamente, manco è uscito nelle sale ma si può comunque trovare grazie alla sempre preziosa rete e ai sempre attivi sottotitolisti nostrani. Dio benedica loro, altroché quegli stronzi della distribuzione. Senza offesa per nessuno, eh.
The Congress è un film molto originale. Vabbè, molto magari no, però è un esperimento interessante. Un mix tra attori in carne e ossa e animazione. Il pensiero a questo punto corre subito verso Chi ha incastrato Roger Rabbit, ma in questo caso le parti live action e quelle animate sono distinte.
La pellicola è inoltre un mix tra realtà e finzione. La protagonista Robin Wright interpreta infatti se stessa. Interpreta Robin Wright l’attrice famosa unicamente per due film, La storia fantastica e Forrest Gump, mentre per quanto riguarda il resto della sua carriera ha compiuto un sacco di scelte sbagliate e si è imbattuta in una numerosa serie di flop, fino almeno all’approdo tv recente con la fortunata serie House of Cards. Nella prima parte del film si parla proprio di questo, di un’attrice arrivata alla fatidica soglia dei 40 e rotti anni che a Hollywood, per un’interprete femminile, cominciano a non essere pochi, e che si trova di fronte a una scelta radicale. Gli viene offerto di cedere i diritti per lo sfruttamento della sua immagine a uno studio cinematografico, la Miramount (un ironico incrocio tra Miramax e Paramount), per digitalizzarla e renderla un’attrice finta, virtuale, a completa disposizione degli studios. Allo stesso tempo, la vera Robin Wright dovrà ritirarsi dalle scene, lasciando spazio al suo alter ego digitale. Una pensione anticipata che, soprattutto in tempo di crisi, non si rifiuta. E così Robin Wright accetta e…
Non ve lo dico. Scopritelo da soli. Il film una visione la merita, però, c’è un però. La prima parte della pellicola è una riflessione notevole sull’industria cinematografica e ha uno spunto sci-fi niente male, vicino alla serie tv inglese Black Mirror o vagamente anche al recente capolavoro di Spike Jonze Lei – Her. Magari niente di nuovissimo, in fondo pure S1m0ne di Andrew Niccol con Al Pacino proponeva già dieci e passa anni fa una vicenda simile, però una pellicola incentrata sul mondo del cinema e sul mestiere dell’attore almeno per chi è appassionato di films è sempre interessante da vedere. Robin Wright, attrice che personalmente non è mi mai piaciuta, offre poi qui una prova recitativa notevole e molto sincera. D’altra parte, se non lo è facendo la parte di se stessa, quando può esserlo? Tutto bene, allora?
"Sì, nel mondo dei cartoni siamo ancora incazzati per quell'Oscar
rubato dal tuo caro Forrest Gump a Pulp Fiction."
"Ammazza! Si sta peggio qua che nell'ultima carrozza di Snowpiercer."
The Congress è allora il classico esempio di film che si sputtana con le proprie mani, un lavoro che ha al suo interno tante idee, tante buone idee, e anziché focalizzarsi su quelle già mostrate ne tira fuori delle altre che non sono poi così brillanti e finisce per rovinare tutto. O quasi, perché comunque The Congress resta un esperimento cinematografico affascinante, sebbene non del tutto riuscito. Se però il film non se l’è filato quasi nessuno non credo sia tanto per le sue derive filosofiche allucinate della parte finale, ma più per la sua natura ibrida. The Congress è un film metà recitato e metà animato. Metà a tematica cinematografica e metà a tema esistenziale. Metà interessante e metà vaccata. Una pellicola divisa tra due strade, tra due mondi, e anche tra due tipi di cinema differenti: molto precisa e pulita, sia come narrazione che a livello registico la prima metà, molto incasinata e psichedelica, pure troppo, la seconda. Due film al prezzo di uno in pratica, uno niente male, l’altro più da “Bah!”, quando sarebbe stato meglio prendere una direzione sola. One direction per una volta non sarebbe stato sinonimo di qualcosa di maligno. Invece no. Ari Folman ha voluto fare il megalomane, lo sborone, ha voluto fare tutto e da bambino cattivo ha finito per pisciare fuori dal vaso. (voto 6,5/10)